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Il lavoro - bene comune

Ogni crisi spinge al cambiamento. Ma la direzione del cambiamento non è segnata.
e delle restrizioni imposte alle attività produttive per ridurre i rischi connessi all’emergenza sanitaria sono evidenti ancorché non del tutto quantificabili.

Parole chiave: Editoriale (407), Renzo Beghini (62), Lavoro (62)

Ogni crisi spinge al cambiamento. Ma la direzione del cambiamento non è segnata.
Le ripercussioni del lockdown e delle restrizioni imposte alle attività produttive per ridurre i rischi connessi all’emergenza sanitaria sono evidenti ancorché non del tutto quantificabili. Guardando ai posti di lavoro persi o “non attivati”, è chiaro come a soffrire maggiormente siano stati perlopiù alcuni settori occupazionali, comparto turistico e commercio su tutti. La provincia di Verona, proprio per la peculiare conformazione del tessuto economico-produttivo, è stata uno dei territori della regione ad aver registrato le perdite maggiori. Tra mancate assunzioni di lavoratori stagionali e mancati rinnovi di contratti a termine, in questo ultimo trimestre si sono registrate quasi 9mila posizioni di lavoro in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Il lockdown è stato – come preannunciato fin dall’inizio della crisi virale – un divoratore di lavoro e di risorse. Il Covid-19 si è manifestato in Italia con tutta la sua virulenta aggressività sanitaria e con tutto il suo cinismo sociale. Ma è il sistema-Paese da collocare su una traiettoria differente. Manca una dinamica del mercato di lavoro e questo ci rende fragili e incomparabili con i partner più forti dell’Unione Europea. Per affrontare un disagio tanto corposo, bisognerebbe ripensare l’intera politica del lavoro e avere il coraggio di cimentarsi con un argomento che è stato fin qui trattato in maniera ideologica: il reddito di cittadinanza. Proprio in una fase in cui bisognerebbe concentrare energie e risorse per rimettere in piedi veri strumenti di politiche attive del lavoro. Come ha sentenziato di recente la Corte dei Conti, il reddito di cittadinanza ha mostrato in questi mesi tutta la sua inefficienza. In pochissimi hanno trovato lavoro dopo aver goduto del sostegno pubblico. I navigator si sono rivelati uno strumento a dir poco inadeguato.
Ma il «progetto Paese» diventa un “fallimento per il Paese” se non risponde a un criterio concordato. Se non viene elaborato attraverso una concezione condivisa dello sviluppo. Una maggioranza e una coalizione governano un Paese complesso come il nostro se condividono un’idea di futuro. Se concertano un disegno di innovazione e sviluppo. Nelle prossime settimane il governo potrà contare su almeno 20 miliardi concessi dalla Commissione Europea in base al fondo Sure. Soldi da spendere solo ed esclusivamente nelle politiche del lavoro. La scelta peggiore, però, sarebbe quella di insistere su una linea che accontenta tutti. Lanciare un po’ di finanziamenti a pioggia per evitare che qualcuno si lamenti. Nell’emergenza era giusto concentrarsi sulla cassa integrazione, sulla tutela di tutti i lavoratori che hanno perso impiego e capacità di sopravvivenza. Il passo successivo è quello di porre le condizioni perché la ricerca del lavoro non sia solo una chimera. Investire affinché la dignità della vita sia tutelata e i nostri giovani possano guardare al lavoro quale strumento per un progetto di vita dignitoso. Nella consapevolezza che, nel terzo millennio, difficilmente si crea sviluppo senza innovazione. Le vecchie ricette non bastano. Altrimenti il rischio che la collera sociale esploda davvero diventa più che concreto. Già dal prossimo autunno.

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