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Reddito o lavoro per tutti?

La questione non è se funzionerà oppure no. È molto più seria. Non si tratta solo della promessa (o scommessa?) che il reddito di cittadinanza previsto dal governo gialloverde farà ripartire l’economia del Paese. L’Istat, la Corte dei Conti, Confindustria, l’Fmi, la Commissione europea ci dicono che non funzionerà. Il governo al contrario assicura che sarà uno strumento per la crescita. I conti li faremo alla fine...

Parole chiave: Reddito (10), Editoriale (407), Renzo Beghini (62), Lavoro (62)

La questione non è se funzionerà oppure no. È molto più seria. Non si tratta solo della promessa (o scommessa?) che il reddito di cittadinanza previsto dal governo gialloverde farà ripartire l’economia del Paese. L’Istat, la Corte dei Conti, Confindustria, l’Fmi, la Commissione europea ci dicono che non funzionerà. Il governo al contrario assicura che sarà uno strumento per la crescita. I conti li faremo alla fine.
Ma se vogliamo anche solo abbozzare una doverosa riflessione sul reddito di cittadinanza alla luce della Dottrina sociale della Chiesa, mi pare che siano almeno tre gli elementi che danno da pensare.
Innanzitutto la figura che l’attuale governo ha di se stesso: uno stato d’assistenza che considera i cittadini una massa di individui cui esso provvede e, provvedendovi, controlla. Un’amministrazione universalistica, burocratica, centralizzata, procedurale. Per accedere al sussidio saranno necessari documenti, scartoffie, code agli sportelli, moltiplicazione delle normative e nuove assunzioni nella macchina dello Stato. Che in questo contesto avvengano ingiustizie sarà molto probabile, quasi inevitabile. Il reddito di cittadinanza ripercorre uno schema populista: da un lato c’è il cittadino bisognoso, dall’altro c’è lo Stato. In mezzo non c’è niente. Gli interventi, anche di solidarietà, spettano allo Stato-Padre-Padrone. A nessun altro.
Secondo. Per papa Francesco “il vero obiettivo – di ogni politica di sviluppo – dovrebbe sempre essere di consentire alle persone una vita degna mediante il lavoro”.
Per la Dsc c’è una priorità del lavoro rispetto al reddito perché ciò che stabilisce il riconoscimento e l’identità sociale della persona è il lavoro. Anche a livello di processi: se l’obiettivo sarà dare lavoro a tutti, il reddito ne verrà di conseguenza. Mentre non è vero il contrario. Parlare di reddito di cittadinanza dal punto di vista economico significa sostenere politiche di redistribuzione. Nelle fasi di transizione la redistribuzione della ricchezza è uno strumento necessario e valido. Ma non si può pensare che questa sia una soluzione di lungo termine. Si può mettere a tacere la pancia di chi è disoccupato, così non avrà più motivo di protestare, ma attenzione a dimenticare l’obiettivo fondamentale che deve essere quello di tendere ad una società della piena occupazione. Del lavoro per tutti.
Terzo. «Con il reddito di cittadinanza aboliremo la povertà», ha detto il ministro dello Sviluppo economico. Le simulazioni dei comportamenti economici dicono il contrario: pochi soldi in situazioni di disperazione vanno a finire nel gioco. È ingenuo pensare che i flussi di denaro servano a combattere la povertà, tanto meno ad abolirla. Per combatterla non servono flussi di denaro ma investimenti in capitale sociale. Oggi si è poveri non per mancanza di soldi, ma per deficit di qualità immateriali: conoscenze, abilità, capacità di relazione, esperienze.  Signor ministro, venga nei centri di ascolto della Caritas. Così si rende conto di cos’è oggi la povertà. Con il reddito di cittadinanza avremo dei poveri che potranno comprare il pane. Ma che rimangono nella condizione di povertà. È una bella intenzione, ma segnata da ingenuità. Il Papa in Messico disse: «Il miglior investimento che si può fare è quello di investire sulla gente, sulle persone, sulle famiglie. Creare opportunità. Tutti noi dobbiamo lottare per far sì che il lavoro sia un’istanza di umanizzazione e di futuro; che sia uno spazio per costruire società e cittadinanza». Molto chiaro. O no?

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