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Divieto di Messa e vecchi problemi

Ci siamo rimasti tutti male sentendo nella comunicazione del presidente del Consiglio di domenica sera sulle nuove regole emanate per la fatidica fase 2, che sostanzialmente le celebrazioni liturgiche saranno le ultime a ripartire...

Parole chiave: Sante Messe (3), Editoriale (407), Stefano Origano (141), Celebrazioni (9)

Ci siamo rimasti tutti male sentendo nella comunicazione del presidente del Consiglio di domenica sera sulle nuove regole emanate per la fatidica fase 2, che sostanzialmente le celebrazioni liturgiche saranno le ultime a ripartire. Un senso di amarezza e di rabbia ci ha colto tutti: ma allora siamo veramente gli ultimi, dopo bar, ristoranti e finanche sale da gioco? L’immediata nota della Conferenza episcopale italiana non usa mezze parole: “I Vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto. Dovrebbe essere chiaro a tutti che l’impegno al servizio verso i poveri, così significativo in questa emergenza, nasce da una fede che deve potersi nutrire alle sue sorgenti, in particolare la vita sacramentale”. A catena sono giunte le prese di posizione politiche molto critiche da parte delle opposizioni, ma pure dentro la stessa maggioranza.
Anche nelle più minuscole comunità, se non si è in grado di trasmettere le Messe in diretta, e avrebbe anche poco senso quando ci sono già i canali ufficiali, senz’altro si è attrezzati per controllare gli accessi alle chiese e far rispettare le regole di prossimità, senza trascurare nemmeno le accortezze per distribuire l’ostia ai fedeli durante la comunione in tutta sicurezza. Ma allora perché no? Perché l’hanno stabilito gli esperti del Comitato tecnico scientifico che laconicamente parlano di “criticità ineliminabili”. Dei veri geni!
Però ci chiediamo anche come mai nelle opportune sedi non si sia fatta sentire prima, di più e meglio la voce della Chiesa – senza essere nostalgici dei tempi neanche troppo lontani in cui si percepiva un peso diverso anche a livello politico della Chiesa italiana –. Arrabbiarsi adesso a cosa serve? Solo a peggiorare la situazione e ad invelenire gli animi. Ecco perché forse vale la pena rileggere e reinterpretare una serie di prassi che già erano percepite come problematiche e che l’epidemia ci obbliga a prendere di petto senza temporeggiamenti. Se un’ingiustizia è stata commessa, si rimedi, ma non illudiamoci di risolvere le questioni insolute dentro il cammino della Chiesa con la semplice ripresa delle celebrazioni pubbliche. E soprattutto non cadiamo nell’errore di continuare a ragionare come se tutto, in fondo, potesse ritornare come prima.

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