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Cronache malate di morbosità

“Morbosità, sostantivo femminile, dal latino morbosĭtas: la qualità e la condizione dell’esser morboso, in senso proprio e soprattutto figurato”. Così recita la Treccani, che poi specifica che il figurato è “sentimento, che, nel suo manifestarsi, denota eccessività rispetto alla norma, e quindi mancanza di misura e di equilibrio”; senso proprio è che si tratta di qualcosa di patologico, una malattia...

Parole chiave: Editoriale (407), Luca Passarini (100)
Cronache malate di morbosità

“Morbosità, sostantivo femminile, dal latino morbosĭtas: la qualità e la condizione dell’esser morboso, in senso proprio e soprattutto figurato”. Così recita la Treccani, che poi specifica che il figurato è “sentimento, che, nel suo manifestarsi, denota eccessività rispetto alla norma, e quindi mancanza di misura e di equilibrio”; senso proprio è che si tratta di qualcosa di patologico, una malattia. Di morbosi ce ne sono sempre stati, ma mi pare che si stia ulteriormente diffondendo e aggravando presso la categoria che della misura e dell’equilibrio dovrebbe essere baluardo: ovvero i giornalisti.
Lungi da me “sputare nel piatto in cui mangio”, ma credo che oggi difendere il giornalismo e i suoi prodotti – pure dal rischio che nessuno legga o non veda più un notiziario – sia quello di evidenziare una strada sbagliata imboccata. “Eccessivo rispetto alla norma” è specificare che l’ex calciatore, a cui hanno tolto la patente, era talmente ubriaco da non reggersi nemmeno in piedi; non è magari così grave come “sintomo”, ma a cosa serve se non per denigrare? Peggio ancora, morbosi sono stati i giornalisti che hanno pubblicato in un documentario gli audio privati di genitori in stato di notevole e giustificata agitazione per la scomparsa della figlia. Morbosità è soffermarsi su dettagli della scena di un delitto, anche vicino a noi, che non sono fondamentali a nulla, se non a creare spettacolo per alcuni, sconcerto in altri e disservizio per tutti.
I giornalisti non possono giustificarsi che “così chiede il pubblico”, né che – in un momento in cui molti di loro rischiano il posto di lavoro o una riduzione economica – bisogna pur cercare altre vie, più adatte ai tempi e ai gusti; sono ben consapevoli che con l’iscrizione all’Albo si devono riferire a un fitto sistema deontologico, su cui si sono preparati e rispetto al quale devono fare corsi di aggiornamento ogni anno. La libertà d’informazione è un loro diritto insopprimibile, ma allo stesso tempo sono obbligati alla tutela della personalità altrui; all’offrire i dati di pubblico interesse secondo la verità sostanziale dei fatti e salvaguardando i diritti fondamentali delle persone; a evitare sensazionalismo o esagerazioni. La nostra redazione, anche a questo, vuole rimanere “fedele”.

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