Editoriale
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Comunicare sì, ma condividere è un'altra cosa

Intolleranti e fanatici! Retrogradi e anacronistici! Altroché comprensivi e accoglienti, costruite steccati ed esclusioni! Siete senza comprensione e misericordia verso quelli che sono diversi da voi!
Riguardo alla recente manifestazione al Circo Massimo in favore della famiglia e per contrastare il Ddl Cirinnà, ne abbiamo sentite di tutti i colori. Oltre alla guerra dei numeri abbiamo assistito a convinte manifestazioni di sostegno e valutazioni critiche.

Parole chiave: Family Day (3), Editoriale (407), Renzo Beghini (62)

Intolleranti e fanatici! Retrogradi e anacronistici! Altroché comprensivi e accoglienti, costruite steccati ed esclusioni! Siete senza comprensione e misericordia verso quelli che sono diversi da voi!
Riguardo alla recente manifestazione al Circo Massimo in favore della famiglia e per contrastare il Ddl Cirinnà, ne abbiamo sentite di tutti i colori. Oltre alla guerra dei numeri abbiamo assistito a convinte manifestazioni di sostegno e valutazioni critiche.
Non sono mancate le espressioni sinceramente cattive, insieme a giudizi balordi e balenghi. L’ostinazione di Costanza Miriano – una protagonista del Family Day – nell’affermare ad un dibattito televisivo che nell’adozione di una bimba da parte di due omosessuali, ciò che manca è proprio la madre, è stata liquidata così: «La ‘madre’? Non serve, è un concetto antropologico».
Se non riusciamo più a comunicare realtà che a noi sembrano inconfutabili, chiare e trasparenti come un raggio di sole; se non riusciamo a convenire su quelle che ci sembrano evidenze elementari... beh, dobbiamo interrogarci.
Chi non si è mai trovato in difficoltà con amici, parenti o colleghi discutendo di vita, famiglia, sessualità: «Tu ragioni così da cattolico, ma non puoi importi su persone che non credono». Oppure quando ci si sente dire: «Parli di famiglia proprio tu che...»; «Proprio la chiesa difende i bambini quando ho sentito quel prete che...».
Certo, la libertà di comunicazione e la possibilità di accedere ad una sempre maggiore quantità di informazioni non significano immediatamente una migliore comprensione. Indubbiamente c’è anche chi ci mette impegno nell’impedire il comporsi di un panorama di significati in cui incontrarsi e capirsi. E chi fa di tutto per non voler capire perché ha altri obiettivi. Rimane che diventa sempre più difficile trovare quella grammatica comune che ci permetta un linguaggio assertivo condiviso.
Il Family Day è stato un momento emblematico, per la galassia dei nuovi movimenti pro-life, di misurarsi sulla piazza pubblica. Ma è stato indicativo anche per misurare e valutare la qualità della comunicazione tra cattolici: molti pro Family Day, alcuni tiepidi, altri fermamente contrari e altri ancora con la libertà di aderire a livello personale senza coinvolgere l’associazione o il movimento di appartenenza. Viene inevitabile una prima domanda: è possibile discutere senza scomunicarsi a vicenda? È possibile avere idee diverse – non tanto sulla famiglia, ma – sulle strategie e sulle modalità di intervento?
Un secondo elemento diviene basilare: la cura del linguaggio. Fino agli anni ’70 la comunicazione si fondava sull’evidenza chiara e distinta quale prima regola per spiegare la realtà, formulare e motivare un giudizio. Oggi, funziona ancora così? Posso dire qualcosa della famiglia e dei figli senza raccontare la mia esperienza? Non è il caso di recuperare il linguaggio narrativo che poi è quello del Vangelo? Da ultimo, la comunicazione è un ‘bene fragile’ (così racconta ogni ‘famiglia’), da costruire giorno per giorno, che si fonda sulla credibilità. Ovvero, non poggia tanto sul successo, sul non avere niente da farsi perdonare o sull’audience, ma su un fatto: non essere falsificabili. Ne riparleremo.

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