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Ci fanno ridere ci fanno piangere

I comici sono in crisi. E gli autori dei loro testi di più. Del resto come si può far divertire la gente quando la realtà supera la più fervida fantasia? Bastava dare un’occhiata a un giornale o a un tg nei giorni scorsi per mettersi a ridere, più o meno amaramente, perché talvolta si ride per non piangere.

Parole chiave: Editoriale (407), Alberto Margoni (64), Politica (43)

I comici sono in crisi. E gli autori dei loro testi di più. Del resto come si può far divertire la gente quando la realtà supera la più fervida fantasia? Bastava dare un’occhiata a un giornale o a un tg nei giorni scorsi per mettersi a ridere, più o meno amaramente, perché talvolta si ride per non piangere.
Al Partito democratico, per esempio, anziché continuare la manfrina stucchevole sulla scissione (che, c’è da scommetterci, non finirà presto) potrebbero mettere a reddito “le magnifiche sorti e progressive” del loro infinito dibattito interno proponendosi di scrivere i testi di Tafazzi. Per quei pochi che non lo conoscessero, è uno storico personaggio del trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo, assurto ad emblema dell’autolesionismo, per dirla con finezza. Noi potremmo godere di una produzione pressoché inesauribile di spettacoli e al Pd di introiti mica da poco, considerando “l’autolesionismo di un partito che, quando smette di perdere, decide di estinguersi” (cit. da Twitter).
Ma anche al di là dell’oceano la varietà di spunti al massimo livello non manca di certo. Trump prima stila la sua personale classifica sulle tv buone e su quelle cattive, poi qualche giorno appresso durante una sorta di comizio fa riferimento ad un attacco terroristico in Svezia fortunatamente mai avvenuto, causando un mezzo incidente diplomatico con Stoccolma. Forse ha frainteso Sweden con Sehwan, città pachistana dove un attentato suicida ha causato 85 vittime. Salvo poi, secondo la logica del tacón pezo del buso che ha evidente valenza planetaria, dire che si riferiva ad un servizio di Fox News – la sua tv preferita – riguardante gli immigrati e la Svezia. Insomma, siamo alle comiche, se non fosse che stiamo parlando del presidente degli Stati Uniti, uno che per il ruolo che riveste dovrebbe quanto meno dire cose certe e verificate.
Tornando da noi, la faccenda dello stadio della Roma è diventata una questione... capitale, sulla quale la povera Raggi rischia davvero di lasciarci la poltrona, sapendo quanto conti da quelle parti il dio Pallone. E mentre Grillo, al tremar delle terga, mostra un’inattesa resipiscenza democratica passando dal «sentiamo cosa dice il web» al «sentiremo cosa dice la popolazione» (ossia referendum, che come è noto si fa con du’ spicci?), potrei immaginare che alla fine lo costruiranno da qualche parte. E magari in futuro pure la Lazio vorrà il suo.
Diceva Flaiano: «La situazione è grave, ma non è seria». Come dargli torto?

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