Un film sugli anni di piombo con qualche pecca narrativa
Padrenostro
(Italia, 2020)
Regia: Claudio Noce
Con: Pierfrancesco Favino, Barbara Ronchi, Mattia Geraci, Francesco Gheghi
Valutazione Cnvf: complesso/problematico/dibattiti
Ci sono epoche che sembrano lontane anni luce e che invece sono molto più vicine a noi di quanto a volte non crediamo. C’era un tempo, ad esempio, un tempo orribile che nessuno può rimpiangere, in cui le lettere Sim, che ciascuno di noi associa ormai automaticamente all’immagine di un telefono cellulare, erano per qualcuno la sigla di Stato Imperialista delle Multinazionali. Come a dire un sistema monolitico e oppressivo col quale sarebbe stato possibile misurarsi solo attraverso la violenza.
Era l’epoca in cui è ambientato questo film di Claudio Noce, l’epoca del terrorismo che ha insanguinato il nostro Paese dalla fine degli anni Settanta all’inizio degli anni Ottanta.
Il regista, che firma la sceneggiatura con Enrico Audenino, conosce quel periodo, anche se era poco più di un bambino, essendo nato nel 1976, perché suo padre, il vicequestore Alfonso Noce, fu bersaglio di un attentato da parte del gruppo terroristico denominato Nuclei Armati Proletari. Era il 14 dicembre 1976. Nell’agguato persero la vita un poliziotto, Prisco Palumbo, e uno degli attentatori, Martino Zicchitella. Il fratello maggiore di Claudio, che aveva undici anni, assistette alla sparatoria dalla finestra di casa.
La scelta narrativa, tuttavia, non è quella di ricostruire dal punto di vista storico e documentario la vicenda. Si tratta, piuttosto, di una sorta di viaggio nella memoria di famiglia, quasi un tentativo di rivivere un trauma, come si farebbe in un processo di approfondimento psicoanalitico, per affrontarlo e, se possibile, guarirne. Impresa difficilissima, sia in psicoanalisi che al cinema, che qui si affida agli sguardi dell’infanzia e dell’adolescenza, a volte alla dimensione onirica, ai misteriosi percorsi che la nostra mente fa per ricostruire i ricordi.
Impresa che, purtroppo, non riesce a pieno. L’interpretazione di Pierfrancesco Favino nei panni del padre, che gli ha valso la coppa Volpi come miglior protagonista maschile all’ultimo Festival del cinema di Venezia, non basta a reggere un’opera che non sempre mantiene la sufficiente coerenza narrativa e stilistica. È un peccato. È come se in Italia ancora il cinema non riuscisse a rendere conto in modo adeguato, tranne qualche eccezione, di quell’epoca sciagurata.
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