Tossicodipendenza, questione attuale
Beautiful Boy
(Usa, 2018)
Regia: Felix Van Groeningen
Con: Steve Carell, Timothée Chalamet,
Kaitlyn Dever, Maura Tierney
Durata: 111 minuti
Esiste un sottogenere di storie cinematografiche che si dedica ad uno dei grandi drammi del nostro tempo, quello della tossicodipendenza, e che spesso ha sfornato film di notevolissimo interesse.
In Italia ci ha lavorato con due grandi risultati Claudio Caligari, che realizzò nel 1983 Amore tossico e nel 2015, poco prima di morire ancora in giovane età, Non essere cattivo.
Negli Stati Uniti il filone conta molti titoli, alcuni di livello eccelso, come l’indimenticabile L’uomo dal braccio d’oro (1956) di Otto Preminger, tratto da uno splendido e durissimo romanzo di Nelson Algren, con una superba interpretazione di Frank Sinatra.
Beautiful Boy si inserisce, purtroppo non senza qualche scivolone retorico, in questa tradizione, prendendo spunto da due libri che raccontano una vicenda di vita vissuta da David e Nic Sheff.
David Sheff (Steve Carell) è un giornalista di successo che si trova a dover affrontare la dipendenza da diversi tipi di droghe del figlio diciottenne Nic (Timothée Chalamet).
Sembra essere, purtroppo, una storia comune a quelle di molti. Una famiglia agiata, che potrebbe vivere una vita di serenità e armonia, nella quale irrompono come un uragano le inquietudini di un giovane adulto che non riesce ad affrontare la vita senza l’aiuto di sostanze stupefacenti (soprattutto, in questo caso, la metanfetamina).
Steve Carell, ormai in piena maturità interpretativa, e Timothée Chalamet (fatto conoscere al grande pubblico da Luca Guadagnino con Chiamami col tuo nome) rappresentano una scelta di casting praticamente perfetta per le parti dei due protagonisti. Il film è infatti costruito in massima parte sugli incontri, gli scontri, le incomprensioni, le paure, l’amore infinito che un padre prova per un figlio in grave difficoltà e che questi comunque ricambia anche in mezzo alla tempesta che sta attraversando.
Questo l’aspetto più positivo di un’opera che, diretta dal belga Felix Van Groeningen e da egli stesso sceneggiata con Luke Davies, non va, purtroppo, oltre la riproposizione di situazioni e comportamenti quasi sempre stereotipati.
Risultato artistico persino strano, se si pensa che Van Groeningen aveva dato prova di sicura capacità di drammatizzazione col duro ma interessantissimo Alabama Monroe (2012).
Qui non si va oltre, ed è un peccato, la messa in scena da buona serie televisiva, nella quale ormai anche gli spettatori più distratti possono prevedere ad ogni sequenza quale sarà la soluzione narrativa.
Sarebbe stato, in epoca passata, un buon film per le scuole medie a cui far seguire una discussione. Ai tempi di oggi è probabile che ragazzi e ragazze siano, nel bene e nel male, molto più preparati in materia.
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