La terra "gentile" di una coppia che regala tutti frutti e conoscenza
di MARTA BICEGO
Roberto e Germana da decenni coltivano rispettando l'ambiente e insegnando ad altri le pratiche
di MARTA BICEGO
«Il seme deve sentire le campane». Va adagiato qualche millimetro appena sotto lo strato di terriccio, all’interno di plateau che hanno tanti piccoli quadrati, alveoli si chiamano. Sono “creature” che Roberto Forapan mostra con uno sguardo ammirato. Nelle sue parole c’è un’esperienza decennale nel campo dell’agricoltura biologica, grazie alla quale affida manciate di semi alla terra e li accudisce, fino a quando non germinano e crescono, per diventare abbastanza «stabili» da essere messi a dimora nell’orto. Accarezzati dal sole, potranno diventare zucchine, peperoni, cetrioli. E tantissime altre verdure, a seconda della stagione.
«Per bagnare il terreno uso uno straccio umido. In questo modo il seme resta tranquillo», continua Roberto, dispensando consigli davanti alle sue preziose cassette, che presto restituiranno pianticelle per i suoi orti. Al suo fianco c’è la moglie Germana Sammarone, che a questi miracoli della natura è abituata. Eppure stupisce osservare quelle piantine spuntare con forza dal terreno, vestirsi di foglie, colorarsi di frutti. Verso questo sforzo bisognerebbe dimostrare gratitudine, insegnano le ore trascorse con la coppia (81 anni lui e 75 lei) che vive in un paradiso immerso nel verde del monte Braglio, sulle colline che guardano Tregnago. Il luogo ideale in cui – supportati da figlia, genero e nipoti – portare avanti la loro idea di agricoltura biologica che è finalizzata all’autosufficienza: quel che producono lo tengono per sé; quel che è in più, lo regalano a familiari e amici, con generosità. È un coltivare che rispetta l’ambiente nei ritmi e negli spazi, senza forzature.
Perché non si può solamente prendere (e pretendere) dal pianeta in cui viviamo. È importante restituire. Per questo Roberto e Germana condividono volentieri le loro competenze, partecipando a diverse iniziative. Sono stati i fondatori della sezione veronese dell’Associazione rurale italiana (Ari), nata per proteggere i piccoli produttori e le cui istanze sono portate periodicamente a Bruxelles, mantenendo il dialogo con gruppi di contadini europei. Con altre realtà tra cui Ca’ Magre e Aveprobi (l’Associazione veneta dei produttori biologici), hanno aderito con entusiasmo al progetto Boscaja, che ha per obiettivo il rimboschimento responsabile: per mitigare gli effetti del cambiamento climatico, piantano alberi e ricreano boschi in pianura. I terreni attorno a casa Forapan sono pendii intervallati da tante balze, sorrette da muretti di sassi, sulle quali vigne e ulivi affondano le loro radici.
Su fazzoletti di terreno sono stati ricavati vari orticelli: da una parte spunta il cavolo nero e dall’altra i cardi; da una parte si scorgono file di piselli e dall’altra di radicchio rosso. Una grande serra custodisce distese di rapanelli e ciuffetti di spinaci oltre a qualche cespo di insalata, rape rosse, valerianella. Rispettando la rotazione delle specie, secondo uno specifico calendario. Non lontano, il pensionato contadino mostra un lungo cumulo formato da strati di foglie, sfalci di fieno e deiezioni di animali che si nutrono degli scarti vegetali della cucina. Un altro lo sta preparando a fianco. Fonti naturali di concime, da spargere sulle piante perché possano ricavare da essa energie. Non è raro vedere, appese ai rami, trappole fatte con bottiglie modificate per catturare gli insetti dannosi: ad attirarli, intrugli (più o meno dolci) preparati in base alla tipologia di albero da proteggere.
Nei campi, secchi di differenti capienze raccolgono la pioggia da usare con parsimonia per abbeverare le coltivazioni, senza abusare di quella dell’acquedotto. «Noi abbiamo iniziato a risparmiare acqua già quarant’anni fa, preannunciando che sarebbe arrivata a scarseggiare», racconta Germana. «Dicevano che eravamo dei catastrofisti quando prevedevamo la desertificazione della pianura Padana – fa eco il marito –. Mai avremmo pensato di arrivare al punto in cui siamo ora. E invece...». Roberto è stato un pioniere del biologico a Verona. Erano gli anni Ottanta, lavorava in ferrovia e dava una mano nei campi di pesche del padre, al Chievo. Toccava a lui occuparsi dei trattamenti e, dopo aver notato che, sparpagliato il veleno nella piantagione, le lucciole erano scomparse in poche ore, ha iniziato a interessarsi di coltivazioni biologiche. Su consiglio di un conoscente, Roberto si è messo a leggere pubblicazioni, ha sperimentato i principi dell’agricoltura biodinamica, ha girato il mondo per imparare da chi aveva maggiori competenze. I coniugi Forapan sono volati addirittura in Africa per trasferire questa filosofia attenta all’ambiente a contadini di villaggi sperduti, per esempio in Senegal.
Una della passioni dell’ottantenne ha a che fare con i semi, che «non custodisce», ci tiene a precisare, ma consegna alla terra concentrandosi poi sulle piante più rigogliose dalle quali ricava altri semi. E ricomincia: un’altra semina, un nuovo raccolto. Di semi ne ha selezionati finora undici: li tiene in due scatole, dentro vasetti di vetro che mani segnate da una vita di lavoro maneggiano con estrema cura, quasi che si trattasse di un tesoro. E lo è, qualcosa di veramente prezioso, «di cui bisogna sempre ringraziare Madre Terra. Perché nulla, al mondo, è dovuto», rimarca ancora Germana, tirando in ballo ancora la riconoscenza. L’ha insegnato ai nipoti, Dante e Giordano, coinvolgendoli nella semina e nella raccolta di primizie. Ma la coppia talvolta accoglie scolaresche per insegnare ai ragazzi come ci si avvicina alla terra. Con rispetto, curiosità, impegno che per quel che riguarda i coniugi Forapan è quotidiano. Parlando di nuove generazioni, i loro sguardi si illuminano: «Confidiamo tanto nei giovani – conclude Germana, con speranza –. Per fortuna, ce ne sono molti che si avvicinano all’agricoltura e scelgono di prendersi cura della terra. Qui ne sono passati parecchi a farci visita e, quando vanno via, dicono si aver portato via più di quanto avrebbero pensato». Seminare conoscenza, insomma, regala i frutti.
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