Se il centro diventa Disneyland
Residenti in calo e turisti in crescita: i servizi si adeguano, il “rischio Venezia. Chiudono i negozi tradizionali crescono bar, ristoranti e posti letto
Perché il centro non diventi una Disneyland per turisti
Residenti in calo, prezzi astronomici, solo affitti temporanei...
Metti una coppia sulla trentina che decide di metter su famiglia e inizia a cercar casa. L’ideale sarebbe il centro storico, entrambi lavorano poco lontano ed eviterebbero l’auto e i mezzi pubblici. Una soluzione provvisoria dove viver qualche anno, in due o al massimo in tre; diciamo un trilocale che sia dignitoso, niente lusso o scorci panoramici, ma nemmeno una topaia. Così il venerdì si apre il giornale per buttare un’occhiata agli annunci.
Gli appartamenti da affittare in città si contano sulle dita di una mano: un bilocale e due attici a cifre stellari. Niente da fare. La settimana successiva la musica non cambia – forse il giornale è uno strumento antiquato per cercare casa –, tanto vale iniziare a spulciare qualche sito internet di settore; qui qualcosina si trova, ma le due camere con cucina e soggiorno si pagano non meno di 1.200/1.300 euro al mese; quasi tutte le offerte sono per immobili già arredati. Rivolgendosi direttamente alle agenzie si riescono a limare diverse centinaia di euro e con un po’ di pazienza – e una buona dose di fortuna – magari si intercetta qualcosa di piccolino, con qualche lavoretto da fare, sui 900 o poco meno.
L’impresa sta tutta nel trovarlo, perché la richiesta è abbondante, mentre l’offerta latita. Nell’ansa dell’Adige gli affitti a lungo termine sono calati drasticamente. Il prezzo, che rapportato ai servizi (sempre più carenti) non è competitivo, è solo la causa ultima di questa tendenza; a monte ci sta il progressivo scivolamento dell’intera città antica verso gli affitti brevi. A resistere è solo la fascia alta, quella degli immobili di pregio, palazzi storici e attici centralissimi, che hanno un mercato tutto a sé.
Per le altre abitazioni, invece, è in corso un cambio di vocazione, graduale ma costante: a sentire gli agenti immobiliari, negli ultimi quattro o cinque anni gli immobili destinati ai turisti sono più che raddoppiati. È un vero e proprio boom di affittacamere e bed&breakfast, più o meno regolari, a gestione familiare o inseriti in circuiti professionali; il tentativo, annunciato nei mesi scorsi, da parte di Comune e Camera di Commercio di monitorare l’attività extra-alberghiera è un indice eloquente di come la situazione sia sfuggita di mano un po’ a tutti.
Verona, comunque, si conferma città redditizia per gli investimenti sul mattone; secondo i dati elaborati nel 2018 dall’Ufficio studi del gruppo Tecnocasa, i canoni di affitto sono cresciuti nell’ultimo anno più del prezzo dell’immobile (+4,5% l’incremento dei canoni di locazione del trilocale); il rendimento annuo lordo di un immobile in locazione, ossia il rapporto tra i canoni di locazione annui (la somma delle 12 mensilità) e il capitale investito per l’acquisto, a Verona oscillerebbe tra il 5,9% del trilocale e il 5,1% del bilocale. L’affitto breve, pur richiedendo più attenzioni, porta maggiori introiti e in maniera continuativa; certo, è sottoposto alle oscillazioni tra alta e bassa stagione, ma non si corre il rischio di saltare mensilità per un inquilino insolvente o nei cambi di affittuari.
E sarebbe errato pensare che siano solo grandi società ad affittare camere ai turisti. Molti sono i privati cittadini che arrotondano o ne fanno il secondo lavoro. C’è ad esempio chi eredita l’appartamento del nonno o della zia, ci fa due stanze doppie indipendenti – meglio ancora se ognuna ha il proprio bagno – che, inserite sui siti di settore a cifre modiche, in centro storico si vendono comodamente a 80/100 euro a notte.
C’è pure chi si trasferisce nei quartieri limitrofi o nei Comuni della cintura urbana per affittare il proprio appartamento in centro. Basti pensare che negli ultimi sei anni, i residenti nella Prima circoscrizione del Comune di Verona sono calati da 30.522 a 28.627 (quasi uno al giorno), quelli della città antica da 8.985 a 8.613. Ma sono in uscita anche le banche (si pensi a Unicredit), gli ordini professionali, le agenzie e i servizi al cittadino in generale.
A Venezia è un fenomeno in corso ormai da almeno un decennio: il centro storico si spopola, come residenti in pianta stabile rimangono perlopiù gli studenti universitari; le botteghe lasciano il posto ai negozi di souvenir, ai marchi internazionali e a bar e ristoranti, che di tipico hanno solo l’aspetto. A Firenze la situazione non è poi così diversa; Roma va in controtendenza, ma qui va messa in conto l’enormità della Capitale e la presenza dell’intero apparato burocratico statale, gente che lì lavora e non può trasferirsi.
Il turismo sta quindi modificando l’assetto delle città e non potrebbe essere altrimenti, visto che questo si è dimostrato un comparto in crescita costante e con prospettive ulteriori di sviluppo. Secondo i dati dell’Unwto, l’Organizzazione mondiale del turismo delle Nazioni Unite, si sono contati 1,4 miliardi di arrivi a livello globale nel 2018 e le stime indicano una crescita dei flussi del 4% fino al 2030: quasi tutti concentrati in pochi posti. Insomma, il prezzo da pagare per sfruttare questo “petrolio italiano”, culturale, artistico e paesaggistico, sarebbe trasformare i centri storici in parchi divertimento a cielo aperto per gli stranieri; il portafogli magari ci guadagna, di certo si perde un’identità.
Andrea Accordini
Chiudono i negozi tradizionali crescono bar, ristoranti e posti letto
Confcommercio: raggiunto livello di saturazione
Nel periodo 2008-2018 Verona ha lievemente aumentato il numero delle attività commerciali, con un travaso tra centro storico – in calo – e periferia, registrando inoltre un sensibile incremento del numero di alberghi, bar e ristoranti: è quanto emerge dall’analisi presentata dall’Ufficio studi di Confcommercio, che ha puntato i riflettori sull’evoluzione dei settori rappresentati nei centri storici e nelle periferie. Lo studio ha coinvolto 120 città (tutti i capoluoghi di provincia più 10 Comuni di media dimensione): a livello nazionale, emerge che i centri storici perdono il 13% dei negozi in sede fissa nel periodo 2008-18, -14% al Sud con divario di 4 punti percentuali rispetto al Centro-nord. Rispetto alle periferie il divario è di circa il 3%.
Scivola il numero di negozi tradizionali, che escono dai centri storici per trasformarsi nell’offerta delle grandi superfici specializzate fuori dalle città. Il calo dei consumi reali pro capite ha comportato una perdita di negozi.
Secondo le stime dell’Ufficio studi, il 70-80% della riduzione dei negozi dei centri storici è dovuto a razionalizzazione e a scelte relative alla scarsa redditività e alla competizione con e-commerce, centri commerciali, parchi e outlet.
A Verona, gli esercizi del commercio al dettaglio del centro storico sono calati da 748 a 673, quelli fuori dal centro storico sono balzati da 1.513 a 1.631; in crescita alberghi, bar e ristoranti, passati da 572 a 637 unità in Centro e da 838 a 1.038 unità fuori dal centro storico. In netta ascesa, anche dal 2016, riferimento “intermedio” dello studio di Confcommercio, il numero degli alberghi. «Grazie al decisivo contributo del turismo Verona è cresciuta, in questi anni, e si pone in controtendenza rispetto al dato nazionale – commenta il presidente di Confcommercio Verona, Paolo Arena – ma le problematiche non mancano: è sotto gli occhi di tutti il crescente fenomeno dei negozi sfitti in città dovuto a cause diverse quali, ad esempio, la modifica del comportamento di acquisto, la mancata corrispondenza tra l’offerta commerciale e la mutata domanda del consumatore legata anche all’innovazione digitale, ma anche problemi di vivibilità, accessibilità e declino urbano. Per contrastare tale tendenza – aggiunge Arena – è necessario attuare politiche di rigenerazione urbana innovative».
«Per quanto riguarda la crescita del settore turistico, certificata dal boom di alberghi, bar e ristoranti – aggiunge il direttore generale di Confcommercio Verona, Nicola Dal Dosso – è evidente che Verona, complice l’impennata delle locazioni turistiche, ha raggiunto un livello di saturazione e ciò va tenuto in massima considerazione nelle politiche di sviluppo della città».
«La deriva-Venezia va contrastata guardando Firenze»
Verocentro: finora abbiamo subìto passivamente
Fino a dieci anni fa pullulava di veronesi, oggi il nostro centro storico si spopola di residenti e si svuota di attività locali per trasformarsi in un contenitore di affitti brevi, negozi della grande distribuzione e “divertimentifici”. Colpa del troppo turismo, «quello che sta facendo di Verona una nuova Venezia».
Il grido di dolore si leva da Verocentro. L’associazione annovera circa 600 soci fra residenti, commercianti e artigiani della città antica, più alcuni “simpatizzanti” stranieri (si sono iscritti da Germania e Svezia) solidali con gli scopi del gruppo, in primis quello di rendere più vivibile e migliorare la quali-tà di vita della città antica. Il presidente è Michele Abrescia, 41 anni.
Interpellato, Abrescia esordisce lasciando parlare i numeri. Negli ultimi dieci anni dall’ansa interna dell’Adige è fuggito quasi il 12 per cento degli abitanti, spiega. In termini assoluti, si è passati da 32.500 a 29mila residenti. I dati sono quelli ufficiali, pubblicati dall’Istat fra i risultati del censimento 2018. «Il fenomeno – sottolinea – riguarda altri territori, ma a Verona è particolarmente marcato. Per esempio, il centro storico di Vicenza ha perso il 4 per cento di residenti, quello di Treviso il 7. Spostandosi nelle regioni limitrofe, Brescia e Trento hanno invece guadagnato, rispettivamente, l’1,5 per cento e il 14 per cento di abitanti».
Di contro, c’è lo sviluppo fuori scala della cosiddetta “industria dell’ospitalità”. Da uno nel 2009, i b&b sono lievitati a 1.600 nel 2016. Federalberghi ha fotografato la capacità ricettiva di Verona nel 2017 e, a fronte di 66 strutture alberghiere, se ne sono registrate 2.550 di extra-alberghiere, con una forbice tra i posti letto di 6.208 a 13.286.
«Accade la stessa cosa a Venezia, con i residenti che migrano in periferia per vendere agli stranieri o affittare ai turisti. Così si crea l’effetto dormitorio che snatura il tessuto urbano. Mentre la cultura di un luogo la fanno le persone che lo abitano».
Abrescia cita proprio Venezia come modello fallimentare: «Hanno puntato tutto sulla massa di turismo non gestito che invade la città di giorno e non pernotta, tant’è che sono entrati in funzione i tornelli contro l’eccesso di visitatori e l’Amministrazione ha introdotto la tassa di sbarco». Un esempio da seguire è Firenze, che ha «un centro storico protetto da una Ztl estesa dalle 7.30 alle 20. Sono tornati i negozi e le botteghe di vicinato». Solo nel 2018 Palazzo Vecchio ha registrato 637 nuove aperture fra moda, artigianato artistico, servizi, riparazioni auto, mesticherie. Attività che da noi stanno scomparendo per far posto ai bar. «Finora Verona ha subìto passivamente questi fenomeni. È il momento di guardare avanti e ispirarci a modelli virtuosi».
Per Verocentro la partita si gioca sulla mobilità. «Traffico e inquinamento, ormai fuori controllo, sono aspetti che incidono molto sulla vivibilità e viabilità del centro per tutti coloro che lo fruiscono». Che fare, dunque?
Ragionare sul centro storico pedonale o semipedonale, e su una zona C in cui si paga per entrare con la vettura privata se non si è residenti, da realizzare nei quartieri limitrofi come Borgo Trento e Veronetta, che soffrono di problemi di parcheggio e traffico tanto quanto la città antica, dove gli stalli gialloblu sono 1.607 a fronte di 4mila pass per i residenti della Ztl. Ancora: progettare parcheggi scambiatori ai caselli autostradali da dove partono navette elettriche per il centro e stipulare convenzioni con le società concessionarie dei parcheggi limitrofi al centro, praticamente vuoti la notte, per agevolare i residenti che dalle 18 di sera non trovano posteggi. «A livello di metodo – evidenzia Abrescia – vorremmo un confronto da cui i residenti non vengano tagliati fuori, come accade spesso e volentieri».
E sulla qualità dell’offerta turistica, «le manifestazioni spot che propongono prodotti identici a quelli delle poche botteghe rimaste non ci paiono valori aggiunti», aggiunge. «Delocalizziamole rispetto alle piazze Dante, Erbe e Bra, verso San Zeno o San Giovanni in Valle, anche per allargare il giro turistico e spingere le persone a rimanere più giorni. Ci pare – considera – che questa Amministrazione abbia una sensibilità diversa. Alcune scelte come il Mobility day o la chiusura dei varchi in uscita della Ztl apparentemente vanno controcorrente».
Sullo sfondo rimane il Piano Folin della Fondazione Cariverona che prevede grossi interventi e modifiche alla destinazione d’uso attuale per alcuni edifici ex Unicredit ubicati cuore di Verona. «Vogliono fare un centro congressi da 900 posti. Hanno valutato l’impatto in termini di qualità della vita dei residenti?».
Laura Perina
Non sei abilitato all'invio del commento.
Effettua il Login per poter inviare un commento