A mezzanotte va la Ronda vicina a chi un tetto non ce l'ha
di FRANCESCA SAGLIMBENI
Dal 1995 pasti caldi e coperte ogni notte per chi sceglie di dormire all'aperto
di FRANCESCA SAGLIMBENI
Molti pensano che non abbiano nemmeno un volto. Il nome, poi, chissà… Sarà il solito, impronunciabile fonema arabo o srilankese. E invece un volto ce l’hanno eccome! Anche quando si limita a fare capolino dalle pesanti coperte che proteggono dalle temperature notturne. È il “volto della notte”. Quello che non ci si aspetta, quello che non si conosce mai abbastanza, e di cui si ha perlopiù paura e, in qualche caso, rigetto.
Il volto dei cosiddetti senza dimora. Di quegli “ultimi” che per dimora hanno un giorno il sagrato di una chiesa, un altro l’androne di un palazzo, un altro ancora un giardino di periferia. Ma che, nonostante tutte le difficoltà di un’esistenza ai margini e della privazione di ogni comfort, dietro a un semplice gesto di attenzione o a una parola di conforto, nell’oscurità riescono pure – ebbene sì – a “brillare”. Se tuttavia qualcuno crede di trovarsi di fronte all’ennesima apologia del povero, o retorica di parte, interrompa subito la lettura e vada a testare di persona. Perché è solo così che potrà ripulire lo sguardo dall’immaginario dominante e ricredersi su gran parte delle sue cristallizzate certezze. Noi lo abbiamo fatto in una sera di aprile, quando ancora il freddo punzecchia – e un popolo di circa 200 persone si prepara a dormire per strada –, accompagnati dai volontari della Ronda della Carità, che dal lunedì alla domenica, alle 21 circa partono dalla sede di via Garbini, in Zai, con i loro tre furgoni e un’auto jolly, per raggiungere i bisognosi distribuiti in varie zone della città e consegnare loro un pasto caldo e una coperta.
Al nostro arrivo presso l’ampia struttura, attrezzata di cucina, provviste alimentari, deposito di sacchi a pelo e indumenti rigorosamente ordinati per taglia e per stagione, un brulichio di donne e uomini di varie età sta annodando gli ultimi sacchetti contenenti stoviglie, pane, acqua, una macedonia e un dolcetto, e riempendo i container termici in cui trasportare le portate principali, appena preparate dai “cucinieri di strada”, come vengono ribattezzati gli addetti ai fornelli.
«Il contatto con le persone “invisibili” è l’anima di questo servizio e ciò che, dopo due anni, mi fa desiderare di stare ancora qui, è proprio la relazione stabilitasi con alcuni di loro», dichiara Stefania, la quale, grazie a questa esperienza è riuscita a vincere sia la fobia dello star fuori di notte, che quella di avvicinare persone sconosciute. Analogo entusiasmo esprime Maddalena, la più giovane del team che, oltre al giro serale, ha trovato un suo ruolo proprio nel progetto Bla Bla Ronda. «Al sabato mattina insegno italiano agli stranieri che frequentano il Rifugio 2, dietro il cimitero monumentale, dove si concentrano le attività diurne della Ronda», dice. Ma la sua conoscenza dell’arabo conferisce valore aggiunto anche al servizio in strada, dove la volontaria può farsi mediatrice tra i colleghi e gli assistiti meno alfabetizzati.
Il tempo stringe, se non si parte puntuali «rischiamo che quelli collocati verso la fine dei nostri tre tragitti (il primo con tappe disseminate tra la Fiera, la stazione, Borgo Milano; il secondo con soste nell’area di Borgo Venezia e alcuni siti del centro; il terzo in Borgo Roma e dintorni) mangino troppo tardi», ci spiega Massimo, capoturno del sabato, che ognisettimana scende apposta da Belluno Veronese. Allora, via di corsa (si fa per dire) a distribuire la cena. A bordo conosciamo Daniela e Patrizia. La prima è entrata nella Ronda circa dieci anni fa, «quando ancora si lavava il piatto in strada», ricorda. «Io sono arrivata solo nel 2019 – dice la collega, che condivide l’esperienza con il marito Paolo, di turno su un altro furgone – e ho subito imparato una lezione importante: ognuno ha la sua storia e non va giudicato». In prossimità del Policlinico di Borgo Roma, troviamo Mario e “Rambo”, veronesi, ciascuno con le sue vicende, appunto, di fragilità.
L’uno con una voglia matta di pizza, tipica del sabato sera. L’altro, che un tetto per la notte lo avrebbe pure, ma è un assistito della Ronda in quanto senza lavoro da tempo, è reduce da un ricovero ospedaliero per infarto, e la lunga astinenza da cibi consistenti si fa davvero sentire. Morde, la fame. E quello che per tutti noi costituisce un rituale comune, per tanti diventa una vera e propria festa. Di cui l’incontro con l’altro, la relazione, è parte integrante. Due chiacchiere con i volontari le fa anche un giovane di nazionalità marocchina che sbuca dal parcheggio adiacente. Non arriverà alla trentina. È stretto in un giacchino in similpelle che a malapena trattiene l’umidità, ma ha comunque la forza di scherzare: «Non mi hai portato carne di maiale? Io volevo quella!». E ride. Si ammanta della sua coperta da eroe della notte, ringrazia più volte, e corre verso il suo posto letto tra gli alberi. Impossibile tornare al proprio quotidiano uguali a prima. Lo stesso quando, poco lontano dalla Tomba di Giulietta, incontriamo Daniela, ex badante finita a dormire tra gli anfratti di un edificio pubblico. «Almeno qui non mi prendo l’acqua», dice, apparentemente serena, confidandoci il desiderio di essere presa nuovamente da qualche famiglia. E poi c’è Anto (dice di chiamarsi così, ma quasi certamente è un modo per agevolare la conversazione), che aspetta sulle scale di una chiesa di Borgo Trento.
Sono già le 23. Ma di coricarsi non ne vuole ancora sapere. È visibilmente elettrizzato per la visita della Ronda. Seduto sul duro cemento, a gambe conserte, cerca un contatto fisico allungando la mano. Con lui un connazionale srilankese, giunto a Verona da poco, che Anto aiuta a interloquire con i volontari. Difficile congedarsi a cuor leggero. «Passeranno la notte? E se si sentono male, se qualcuno fa loro del male?», è il nostro pensiero fisso. Massimo ci rincuora: «Sono più forti di quanto crediamo». Ma una cosa è certa, aggiunge con quegli occhi che abbondano di carità umana: «Nessuno dovrebbe stare sulla strada, solo e, al di là del bagaglio immunitario di ognuno, esposto a un costante pericolo di vita (82 i senza dimora deceduti per il freddo da inizio anno, in tutta Italia, ndr)».
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