«Non si può morire di freddo a Verona!»
di ADRIANA VALLISARI
Sperotto (Ronda della carità): posti insufficienti, troviamone altri e mobilitiamoci tutti
di ADRIANA VALLISARI
Di qua, la città vestita a festa; di là, a pochi chilometri dal cuore del centro storico, la morte che arriva col freddo. Un vivido contrasto che scuote e interroga: nella Verona solidale del 2023 il decesso di un giovane marocchino di 27 anni, trovato assiderato qualche giorno fa in un vagone abbandonato in stradone Santa Lucia, che era diventata la sua casa di fortuna, è considerato da tutti un fallimento. «Dimostra che quanto si sta facendo non è sufficiente, significa che non tutti hanno un posto caldo dove stare», dice Alberto Sperotto, presidente della Ronda della Carità.
Da 27 anni quest’associazione di volontariato si prende cura delle persone emarginate, senza casa e senza dimora. Conta su oltre 400 volontari, ognuno dei quali impegnato in un servizio: dalle cene distribuite in strada, in continua crescita, al laboratorio linguistico “Blabla Ronda”, che aiuta le persone straniere a imparare l’italiano; dai rifugi fino alla mensa serale aperta a due passi da piazza Bra, l’ultima novità.
– Presidente, ciò che ha colpito della notizia è stata la giovane età di questo ragazzo, nato nel 1996. Per voi non è una sorpresa, però...
«No, infatti. Noi Abdeljalil non lo conoscevamo, ma la maggior parte delle persone senza dimora straniere che incontriamo sono giovanissime, dai neo-maggiorenni fino a chi ha meno di 30 anni. Provengono da Tunisia, Marocco, Siria, Afghanistan, Pakistan; molti transitano da Verona dopo aver percorso la rotta balcanica, entrando da Trieste. Poi una sera non li vediamo più: gli altri ci dicono che sono ripartiti, verso la Francia o altri Stati europei, perché scappano da situazioni difficili o perché sono in cerca di un lavoro dignitoso. Tra gli stranieri che incontriamo per strada ci sono sia migranti in transito, che stranieri regolari o irregolari. Ma la maggior parte dei senzatetto sono stanziali – veronesi, italiani, stranieri – che hanno deciso di restare a Verona».
– Nonostante l’offerta di posti nei dormitori, a Verona si muore ancora di freddo, purtroppo. C’è qualcosa che si potrebbe fare, di più?
«Innanzitutto aumentare i posti nei dormitori, perché se una persona perde la vita per il freddo significa che gli sforzi che facciamo come comunità sono insufficienti. D’inverno bisogna dare a tutti un posto caldo in cui stare, anche a chi è senza documenti e quindi ha più difficoltà ad accedere ai dormitori cittadini, in cui si dà la preferenza a chi ha la residenza nel comune di Verona. E ricordiamoci che se una persona perde l’abitazione, e quindi la residenza, perde anche l’accesso ai diritti fondamentali, dal medico di base al diritto al voto: senza carta d’identità non può aprire un conto corrente dove incassare la pensione o accedere agli ammortizzatori sociali; lo stesso vale per gli stranieri senza documenti. C’è però un ragionamento più ampio da fare».
– Quale? «Queste persone hanno bisogno di avere una progettazione sulla propria vita, e questo lo si può fare solo in un contesto di comunità, in cui occupino il tempo, perché sulla panchina si muore non solo di freddo ma di dipendenza, di depressione, di chi si approfitta di loro. Le esperienze positive ci sono, basta studiarle e metterle a sistema». – Voi che uscite ogni notte a portare coperte e cibo caldo, registrate un aumento dei casi?
«Sì, le cene distribuite dall’unità di strada della Ronda sono aumentate del 50% negli ultimi tre anni. In questi giorni di dicembre ne consegniamo 220 a sera, tantissime, e quest’estate erano il doppio. Ogni anno si cresce, purtroppo: sono numeri negativi, significa che ci sono sempre più persone in stato di marginalità. Lo vediamo anche nella nostra mensa di via Pallone: abbiamo veronesi che, pur avendo la casa, vengono a mangiare da noi, oppure hanno un lavoro ma non trovano un alloggio in affitto, perché troppo caro, e nemmeno un posto letto nell’accoglienza, da cui sono esclusi proprio perché hanno un lavoro».
– Da difficoltà nascono altre difficoltà. Eppure dei senzatetto ci si accorge solo quando muoiono o quando si tira in ballo il decoro. Perché dormono in centro, ad esempio.
«Dove andremmo noi, se fossimo nei loro panni? Cercheremmo un luogo sicuro, magari protetto da un portico per le intemperie; non potremmo nemmeno stenderci sulle panchine che ancora hanno il divisorio al centro, anche se qualcuno aveva promesso di toglierlo. Abitare per strada significa provare paura, delusione, vergogna. Ci sono italiani con carriere professionali alle spalle che si sono trovati per strada: queste persone, che di notte sono diverse, di giorno sono come noi, sono vestite come noi; poi c’è chi ha avuto una dipendenza, una malattia o ha fatto un po’ di galera e non riesce a risollevarsi. Di queste persone bisogna avere compassione».
– Ma la rete di familiari o amici non interviene?
«Quando chiediamo alle persone di raccontarci la loro prima notte all’aperto ci dicono la stessa cosa: tutti quelli che prima erano degli amici, sono diventati dei conoscenti. E in strada non si muore solo di freddo, ma pure di malattia: nel 2023 sono state 364 le morti accertate, in tutta Italia. A Verona ne abbiamo contate 4; parliamo di casi noti, magari sono anche di più».
– Passando accanto a queste persone, o fingiamo indifferenza o siamo intimoriti. Come possiamo interagire con loro?
«Il ruolo dei cittadini è fondamentale. Se troviamo una persona che dorme per strada, avviciniamoci e partiamo con una semplice domanda: “Buonasera, come sta?”. Se risponde positivamente si va avanti, le si chiede se è sufficientemente coperta e se ha bisogno di aiuto. Se sta male occorre chiamare subito il 118. Se si tratta di una persona vulnerabile, per esempio una donna o un minore, e chiede supporto, si contatta l’Ufficio accoglienza dei Servizi sociali (045.8077326), aperto al mattino; nel pomeriggio e nei festivi si può chiamare il 113 facendosi mettere in contatto con la Polizia municipale e chiedendo l’attivazione del Pronto intervento sociale».
– Molti telefonano a voi.
«Sì, a tutte le ore e noi rispondiamo sempre, ma ognuno deve fare la propria parte. Cominciando dall’aprire le porte di caserme, scuole, palestre, ferrovie, circoli, chiese, moschee: chiunque ha uno spazio, lo metta a disposizione. E poi ci vorrebbe una moratoria sugli sgomberi: se si caccia qualcuno da una casa abbandonata, in cui vive in condizioni indecorose, è necessario dagli un’alternativa, facendo uscire la Polizia municipale coi Servizi sociali; altrimenti le persone tornano nello stesso posto, per disperazione, con una denuncia penale che gli complica ulteriormente la vita».
– Per fortuna a Verona esiste una solida rete di volontariato che questi invisibili li vede eccome...
«Sì, ma è paradossale che ci siano solo realtà di volontariato a supporto di chi vive in condizioni di estrema marginalità e manchi, per esempio, una mensa comunale. Essere accoglienti dev’essere un motivo di orgoglio per tutti. Servono azioni forti, perché nessuno deve dormire per strada».
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