Una ricerca indaga sui giovani che si allontanano dalla Chiesa
di STEFANO DIDONE', Docente di Teologia fondamentale presso la Facoltà teologica del Triveneto
Dal Toniolo di Milano un’indagine che valuta motivazioni e nuove direzioni
di STEFANO DIDONE', Docente di Teologia fondamentale presso la Facoltà teologica del Triveneto
Cerco dunque credo? Si intitola così l’atteso volume che esce a fine marzo, curato da Paola Bignardi e da Rita Bichi per i tipi di Vita e Pensiero.
La pubblicazione, che si preannuncia corposa, presenta i risultati della ricerca sui “giovani in fuga” svoltasi nel 2023, promossa dall’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo di Milano, a cui ha collaborato anche la Facoltà teologica del Triveneto. Ulteriori dati dell’indagine sono stati anticipati da Paola Bignardi, intervenuta nell’incontro con i docenti delle aree di filosofia e teologia svoltosi nei giorni scorsi nella sede della Facoltà a Padova.
Rivolgendosi ai filosofi e ai teologi, Paola Bignardi ha sintetizzato i risultati della ricerca in dieci punti, concentrando l’attenzione su due di essi: le diverse tipologie di allontanamento e la trasformazione dell’esperienza della fede in spiritualità. Sono state identificate sei tipologie di allontanamento: allontanamento evolutivo (l’esperienza del catechismo da ragazzi li ha convinti che quello che hanno imparato di religioso è “cosa da ragazzi”, per cui è trascurabile diventando adulti); allontanamento per disinteresse (nessun interessamento vero la dimensione trascendente); allontanamento esistenziale (a fronte delle domande di senso della vita, la proposta religiosa non ha dato una risposta soddisfacente); allontanamento critico (presa di distanza verso la formazione cristiana, soprattutto rispetto ad alcuni temi morali); allontanamento maturativo (vissuto per scelta, per onorare la propria intelligenza, la propria inquietudine, il proprio comprensibile scetticismo); allontanamento “arrabbiato” (la Chiesa li ha delusi e non vogliono più avere contatti con il mondo ecclesiale).
Per la maggior parte degli intervistati la presa di coscienza del proprio allontanamento dalla Chiesa avviene tra i 16 e i 17 anni. La pratica religiosa spesso è stata abbandonata anche prima, in genere dopo la cresima, ma è solo dopo qualche anno che diviene una scelta esplicita e consapevole. È molto significativo che alcuni di loro si siano allontanati dagli ambienti ecclesiali dopo essere stati impegnati nelle parrocchie come educatori o capi scout, dunque con responsabilità educative e organizzative.
Dopo l’abbandono, l’esperienza di fede diventa “spiritualità”, intesa in molti modi, come, ad esempio: un viaggio alla ricerca di se stessi, avere un centro, farsi delle domande, fare spazio all’ascolto dell’ignoto, fare introspezione. I giovani parlano per immagini, non per concetti. Una ragazza si rappresenta con un’immagine efficace: «Mi sento come in una stanza buia in cerca dell’interruttore». Un altro descrive così il suo abbandono della Chiesa, ma non della fede: «Non mi ritengo ateo, non mi ritengo una persona che non crede più in Dio, che non ha un lato spirituale; semplicemente non penso che quello sia il mio modo di pregare, di essere parte, di dimostrare il mio lato spirituale, perché è una cosa che io vivo più come una cosa individuale, più come una cosa relativa a me e non a un gruppo di persone. Alla fine, mi ritrovavo sempre a ripetere le solite preghiere un po’ a pappagallo perché tutti le dicevano e a non crederci davvero».
Queste narrazioni esprimono una metamorfosi del credere, cioè una trasformazione dell’esperienza religiosa in navigazione solitaria, una fede molto intima e sostanzialmente personale, a tratti individualistica. Di queste diverse trasformazioni dell’esperienza della fede in spiritualità ne sono state evidenziate in particolare tre: interiorità, natura e connessione. Interiorità, intesa come incontro con il proprio io profondo, con i dubbi e con le domande più scomode. Natura, intesa come “luogo” della spiritualità, contesto in cui immergersi per recuperare una forma di contatto con Dio. La creazione continua a essere “via” che conduce a Dio. Infine, connessione, intesa non come legame, ma come un processo; è il sentire che la propria vita non è gettata nel mondo, abbandonata alla propria solitudine, ma è in relazione a “qualcosa” o a “qualcuno”, indeterminato o personale, altro o Altro.
Questa esperienza di “connessione” si pone agli antipodi della religione istituzionale perché la Chiesa – dicono questi giovani – fa come “da filtro” e non permette di sperimentare il legame in quanto troppo rigida, perché in essa è già tutto precostituito. Questa accurata esplorazione nel mondo giovanile, realizzata a dieci anni di distanza dal volume intitolato Dio a modo mio (2013), conferma che è in atto un mutamento antropologico molto profondo. Le trasformazioni nel modo di vivere l’umano rendono sempre più necessario il superamento dello schema interpretativo Chiesa-mondo, tipico delle costituzioni conciliari, a favore di un approccio più antropologico alle questioni religiose, intese come rapporto diretto tra Vangelo e uomo. Tale spostamento si colloca nel quadro generale del processo di reinterpretazione del cristianesimo nell’attuale contesto culturale e sociale e lascia aperte molte domande. Di fatto, con le varie forme di “allontanamento”, i giovani chiedono alla Chiesa una maggiore affidabilità e coerenza con l’originaria esperienza evangelica. Sperando che non sia ormai già troppo tardi.
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