«Sono nato... dentro una chiesa: un segno chiaro del mio destino»
di LUCA PASSARINI
Figlio di un sagrestano, don Paolo Zuccari ha fatto un cammino denso e importante
di LUCA PASSARINI
Una vita da prete, come recita questa rubrica, ma nel caso di don Paolo Zuccari (nato il 17 ottobre 1947) anche una vita nella Chiesa: «Posso dire che praticamente sono nato in chiesa. Mio papà era il sagrestano-tutto-fare della parrocchia di Minerbe, impegnato a tempo pieno per questo e si può dire che io sia nato in mezzo ai preti, dato che allora c’erano un parroco e due curati. Tutti i giorni eravamo in chiesa a sistemare e la sera si andava a chiudere tutte le porte, ma prima di finire, mio papà si fermava a pregare. Prendeva in mano il libretto Una pagina di Vangelo al giorno e se c’ero anch’io, leggeva ad alta voce. Credo che la mia vocazione sia nata in questo modo».
Entrò in prima media nella casa del Seminario di Roverè, dalla quale tutti poi si trasferirono nel 1959 nella nuova struttura di San Massimo: «Eravamo un centinaio per annata, nelle grandi camerate e c’era tanta vitalità, con parecchie proposte sempre nuove per vivere insieme i lunghi periodi che passavamo in Seminario, dato che andavamo a casa solo a Natale e Pasqua. Sono nate tra l’altro la banda musicale, il gruppo teatrale e io cercavo sempre di buttarmi dentro, provavo volentieri le varie esperienze che nascevano dalla fantasia di noi ragazzi e degli educatori, dato anche che a scuola mi arrangiavo bene».
Solitamente nelle medie vi erano ragazzi per formare tre sezioni da una trentina a classe, in ginnasio due, in liceo tre: «Quando siamo arrivati noi in prima liceo, però, eravamo 48 e hanno buttato giù una parete delle aule per farci stare tutti. Concluse le superiori, un bel gruppetto è passato al Seminario maggiore, insieme a sei che si sono aggiunti nell’anno di studi propedeutici. Allo Studio teologico eravamo quasi una novantina nella nostra classe, perché si univano giovani di vari istituti religiosi e del Seminario dell’America Latina: erano gli anni del Concilio, della riforma del piano formativo, dei grandi cambiamenti e della forte vivacità. Ricordo in particolare la vitalità portata da don Giovanni Gottardi, che portava nel suo insegnamento la freschezza dei suoi studi biblici e il grande convegno sulla liturgia che si è tenuto a Verona. Tutte queste novità le abbiamo sentite sulla nostra pelle e ci hanno portato anche a provare noi qualcosa di diverso, come l’esperienza di una cassa comune in un piccolo gruppo, in cui mettevamo i pochi soldi che ricevevamo, soprattutto per comprare i libri di teologia, che alla fine ci siamo divisi».
Ordinato prete il 27 giugno 1971, ha ricevuto la prima nomina come vicario parrocchiale di San Tomaso Cantuariense: «Nella vicina Santa Maria in Organo c’era don Valentino Donella e abbiamo unito i gruppi adolescenti e giovani; sono nate amicizie e matrimoni, e con un gruppetto siamo ancora in contatto e ci ritroviamo ogni tanto per stare insieme e condividere qualche idea».
Il vescovo Giuseppe Carraro gli chiese di studiare filosofia presso i Gesuiti a Gallarate: «Il primo anno tornavo tutti i fine settimana a svolgere il ministero a San Tomaso, ma dal 1973 ho fatto vita di comunità là con i padri e i fratelli. Tra l’altro erano proprio i mesi dell’austerity, per cui la domenica andavo in bici a celebrare la Messa nelle parrocchie vicine e alle 12 vedevo prendere il volo l’aereo che collegava Malpensa con Roma».
Rientrato a Verona, ha iniziato a insegnare nel liceo del Seminario minore: «È stata un’esperienza che mi ha messo alla prova, perché trasmettere qualcosa della filosofia è a volte difficile e ti obbliga a pensare bene cosa comunicare e come farlo, a conoscere bene chi hai davanti, ad aggiornare il programma e ad adattare le cose. In questo è stata anche importante per le idee di catechesi e pastorale che ho cercato di portare avanti».
All’insegnamento si è presto affiancato l’impegno come vice-assistente dell’Azione Cattolica(dal 1976) e i primi tentativi di una pastorale diocesana per giovani, culminata con la nascita del Centro pastorale giovanile, nel 1982 in via Nicola Mazza: «Come direttore, insieme ad altri collaboratori abbiamo provato a intuire cosa amavano i giovani, per poter partire da lì, come diceva don Bosco. Da questo percorso, tra l’altro, è nata l’esperienza dell’“Ecco perché canto”, per radunare i tanti gruppi musicali delle parrocchie. Portata avanti insieme a don Giovanni Biondaro e a un gruppo davvero speciale di persone, la prima edizione è stata nel 1983 e l’entusiasmo era tale che, nel teatro di Santa Teresa, abbiamo dovuto proporlo il sabato sera e la domenica pomeriggio. Il momento, però, più significativo di quel ministero, concluso nel 1994, è stato sicuramente l’incontro di papa Giovanni Paolo II in Arena con i giovani nel 1988».
Impegnato negli anni in diversi incarichi nel Seminario e nell’accompagnamento del clero diocesano, dal 2002 è anche presidente dell’associazione Noi Verona: «Prima con l’Anspi e poi con questa nuova realtà, insieme ad una segreteria molto collaudata, ho sempre cercato di portare avanti proposte formative, l’educazione alla legalità e ad uno stile bello, al fare le cose con una certa attenzione e precisione, anche in questo momento di sfida che è il passaggio al Terzo settore».
Dal 2003 l’incarico di parroco a Valeggio, a cui negli anni si sono unite prima Remelli (2010) e poi Oliosi e Salionze (2018): «Si è trattato di qualcosa di nuovo, ma in realtà non sono mai stato lontano dalla vita pastorale e dalle parrocchie. Direi che più che altro ha portato a compimento tutta una ricchezza di vita e di esperienze. Se il mondo giovanile ti porta a restare giovane e a rinnovarti, la vita della parrocchia ti dà il senso della pienezza, delle varie fasi e situazioni, per cui hai i battesimi e le persone che arrivano al passaggio ultimo. Ci sono stati momenti belli come le celebrazioni dei sacramenti e tempi direi molto quotidiani, eventi straordinari come le ordinazioni presbiterali e altri tragici come alcuni suicidi o la morte di qualche bimbo piccolo. E poi è una vita che continua ad insegnarti, come ad un sessantesimo di matrimonio in cui ho chiesto agli sposi se sarebbero stati disposti a ricominciare, e lui disse che se fosse stato con lei sì».
Altri percorsi belli in questi anni don Paolo li riconosce nell’accompagnare la catechesi dei bambini dei primi anni della scuola primaria e nel rapporto speciale con la diocesi di Morogoro in Tanzania: «Abbiamo iniziato 12 anni fa, qui in parrocchia ci sono tre suore di un istituto religioso locale e ci teniamo uniti tra amicizia e alcuni viaggi missionari, che negli ultimi anni soprattutto per il Covid si sono dovuti forzatamente fermare».
Nel fare i conti con l’avvicinarsi del pensionamento confida: «Siamo ormai tutti arrivati o prossimi ai 75 anni e come classe abbiamo affrontato un po’ la questione dicendo che il passaggio all’età che vede un incarico meno diretto, non dovrebbe voler dire che ognuno si arrangia a trovare la soluzione che preferisce o che riesce, ma sarebbe bello aver davanti alcune soluzioni che garantiscano una vita fraterna, la valorizzazione dei preti, il servizio ai fedeli, ovviamente con una disponibilità richiesta da tutti gli attori in questione».
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