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In cammino piano piano puntando all’essenziale

di MARCO ZAMPESE
Testimonianze dopo la visita alla missione di Namahaca (Mozambico)

In cammino piano piano puntando all’essenziale

di MARCO ZAMPESE
È molto difficile condensare in poche battute un’esperienza così particolare e intensa come la visita alla missione diocesana in Mozambico organizzata da Centro di pastorale adolescenti e giovani e Centro missionario diocesano. Difficile per l’impatto emotivo e sconvolgente per i ragazzi che abbiamo accompagnato (Davide, Lorenzo, Irene, Margherita, Elisa, Linda e Giulia), ma anche per noi, Marco e Chiara e nostra figlia Nicole. La realtà trovata, le persone incontrate, le contraddizioni vissute, sono state compagne di viaggio continue. L’accoglienza dei tre sacerdoti veronesi – don Francesco Castagna, don Fabio Gastaldelli e don Luca Composta – è stata calorosa e attenta a farci comprendere e vivere le particolarità di questo popolo. Ci hanno testimoniato una fraternità sacerdotale, una vita spesa nell’incontro con le persone anche attraverso le celebrazioni eucaristiche nelle varie comunità sparse per tutto il territorio della parrocchia. Abbiamo avuto la possibilità di incontrarne alcune e di passare con loro momenti di festa, di celebrazione, di pranzi condivisi. Abbiamo sperimentato la fragilità e la povertà delle istituzioni come la scuola e la salute; abbiamo incontrato bambini, famiglie e giovani orgogliosi della loro terra, preoccupati del loro futuro ma anche animati dalla voglia di non arrendersi alla corruzione e alle incongruenze della società. Così scrive il giovane Lorenzo: “Possiamo dire che l’esperienza mozambicana ci ha travolto e ha scombussolato le nostre certezze, ma ci ha trasmesso un tale entusiasmo che ci ha trasformato.
L’autenticità è diventata per noi un desiderio da coltivare per vari aspetti della vita: ricercando l’essenzialità tra tutte le comodità della casa, per l’aspetto alimentare, per i nostri impegni quotidiani, per le nostre relazioni, per la nostra fede, per il nostro futuro e per le nostre scelte nelle quali potremo portare un po’ di Macua (il nome della popolazione locale), continuando a camminare vakani vakani (piano piano), con le nostre infradito, magari portando grandi pesi sulla testa, ma vivendo pienamente nella semplicità e nell’essenzialità del tempo presente”. E poi Elisa, altra giovane che ha vissuto questi 20 giorni in terra d’Africa: “In Mozambico abbiamo avuto l’opportunità di decostruirci, giorno dopo giorno. Non ha più importanza come ti vesti, né la marca né tantomeno se c’è qualche macchia sul pantalone. Avere i piedi completamente impolverati e le piante nere si è trasformato in segno di una giornata ben spesa, a camminare e giocare nella terra rossa di Namahaca. Abbandonare le posate per mangiare seduti a gambe incrociate è un modo ulteriore per incontrare la cultura Macua, nel momento in cui il linguaggio non è condiviso. Ciò che più ci affascina è la visceralità delle relazioni, tra queste persone come anche di noi giovani con loro. Sono giorni di sguardi, sorrisi e strette di mano fortissime. Siamo dall’altra parte del mondo, di notte sulla testa ci brilla la Croce del Sud, durante ogni pasto mangiamo scima (tipo di polenta), riso e fagioli. Fino a pochissime settimane fa eravamo 10 sconosciuti, eppure nessuno vorrebbe essere in qualunque altro luogo se non questo”. Speriamo ora che questa esperienza porti i suoi frutti, che i piccoli semi che il Signore ha messo in ogni ragazzo possano germogliare e che il ricordo della “calda” terra d’Africa rimanga per ognuno impressa nel cuore.

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