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Dalle... pentole del Seminario al tesoro di una conoscenza

di LUCA PASSARINI
Il percorso di don Matteo Zandonà, originario di Vestenanova e ora a Roverè

Dalle... pentole del Seminario al tesoro di una conoscenza

di LUCA PASSARINI
Lunedì 18 febbraio 1985: i giornali locali e quelli nazionali di taglio sportivo si chiedevano se l’Hellas Verona avrebbe potuto davvero raggiungere lo scudetto; il giorno prima aveva superato indenne l’ostacolo principale, raggiungendo l’Inter sul risultato di pareggio con un gol a inizio ripresa di Briegel davanti a oltre 40mila spettatori.
Mentre molti erano infervorati in queste discussioni, nasceva a Tregnago Matteo Zandonà che – chi lo conosce bene, lo sa – con il gioco del calcio ha però gran poco da condividere. Ci rivela infatti: «Molti nei miei anni sono entrati in Seminario minore affascinati dai campi di calcio, io certamente no!».
Cresciuto a Vestenanova, ha trovato nei parroci e nei seminaristi presenti in comunità in quegli anni un bel punto di riferimento: «Di quei preti mi attraeva la loro umanità, il loro modo di essere in mezzo alla gente, di prendersi cura dei malati, di celebrare la liturgia. Dei giovani che erano in cammino notavo in particolare il modo bello di essere presenti in parrocchia e il grande impegno che mettevano nelle attività estive».
Tutto questo ha fatto pian piano crescere, in Matteo ragazzo, il desiderio di vivere una vita come loro, anche se ancora le cose erano poco chiare. A illuminare un po’ di più ecco l’occasione del Convegno chierichetti che si teneva ogni anno negli spazi del Seminario minore di San Massimo e prevedeva anche una visita negli ambienti esterni ed interni. Una sorta di scintilla è scattata, appunto, non davanti ai grandi spazi da gioco, ma davanti alla cucina, ovvero «a quelle grandi pentole che per me ragazzino davano concretezza a quello che il seminarista della mia parrocchia ci diceva, cioè che il Seminario minore era una grande famiglia».
Proprio questo aspetto della familiarità e della condivisione gli fecero dire che quella esperienza doveva essere proprio bella. Confrontatosi in famiglia e trovandovi subito quell’appoggio che non è poi mai mancato, eccolo entrare in prima media. «Sono stati anni straordinari – ci confida – fatti di amicizie, relazioni profonde, esperienze belle. Soprattutto alle medie il pensiero non era sul diventare prete, ma sul crescere come persona. Ricordo solo una volta in cui, facendo il chierichetto in parrocchia nell’età delle medie, il mio parroco d’allora scherzando disse se volevamo fare una vita come la sua e io risposi senza pensarci troppo: magari!».
Gli anni delle superiori sono stati caratterizzati da alcune imprese di cui solo una comunità rende capaci (come la biciclettata a Roma) e da alcuni passaggi spirituali forti in cui Zandonà ha sperimentato il Signore che passava nella sua vita e che gli proponeva la bellezza della vita presbiterale: non era più solo la fantasia di un bambino.
Due in particolare i momenti significativi durante il liceo, uno legato più al Seminario e uno maggiormente alla parrocchia. «Durante l’estate tra la terza e la quarta superiore ricordo bene la veglia del sabato sera che andava praticamente a concludere il camposcuola di Breonio. Ho vissuto il sacramento della riconciliazione e il padre spirituale di allora mi sottolineò come il giorno successivo sarebbe stata proclamato nella celebrazione eucaristica il versetto del Vangelo secondo Matteo che dice che dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore. Mi ha colpito molto e durante la notte, mentre ero a letto, mi sono detto che il tesoro più grande nella mia vita era il Signore e che il mio desiderio più grande era quello di farlo conoscere alle altre persone. Ancora adesso quello è il Vangelo della mia vocazione e del mio ministero».
L’estate successiva, nella seconda lettura della domenica in cui a Vestenanova si celebravano le Quarantore, ecco risuonare un altro versetto fondamentale per don Matteo: “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza e hai prevalso” (Geremia 20,7). «Mi ha rassicurato e dato grande pace perché ho intuito che anche quando i miei piedi e le mie strade si allontanano, il Signore continua a chiamarmi e riportami a Lui». Conclusa l’esperienza del Seminario minore, è iniziato il cammino nel maggiore, ricco della bellezza e della formatività della vita quotidiana, così come delle proposte particolari come il servizio pastorale in una parrocchia differente dalla propria e, per don Matteo, la possibilità di vivere un anno di esperienza pastorale fuori dalla comunità. «Questa opportunità – racconta don Matteo – è stata importante, con il servizio caritativo presso una Piccola fraternità. A contatto con alcuni ragazzi disabili si è concretizzata la mia vocazione, il mio sentirmi chiamato a donare la vita nella modalità presbiterale».
Ordinato prete nel 2011, ha accolto l’incarico di vicario parrocchiale prima a Grezzana e poi a Valeggio. Dal 2017 è parroco di Roverè e San Vitale, portando con sé il ricordo di quei preti che lo hanno affascinato da bambino, ma anche la convinzione che oggi è cambiato il contesto e per questo anche il modo di vivere il ministero. Rimane per lui centrale, comunque, l’importanza dell’umanità del prete, che è quella che secondo don Matteo ancora affascina a livello di fede così come di vocazione e che continuamente chiede a ciascuno di non smettere di lavorare su di sé, di camminare, sapendo che non si è mai arrivati.
Un bel dono Zandonà rivela di averlo ricevuto anche con l’esperienza di un anno presso l’Associazione Familiaris Consortio nella Diocesi di Reggio Emilia - Guastalla: «In un contesto molto diverso dal nostro, ho assaporato come si può vivere il ministero anche in modo differente, ma pure come si può diventare capaci di gioire per i piccoli passi di una persona e di una comunità. D’altronde anche da noi non possiamo più pensare alle grandi soddisfazioni di cui un tempo godeva chi ci ha preceduto, come le chiese piene e il riscontro positivo di ogni proposta parrocchiale: spesso siamo come in un deserto, chiamati a fidarci del Signore e a gustare quelle semplici oasi che ci vengono donate».

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