Come i ragazzi desiderano la “loro” Chiesa
di ANDREA ACCORDINI
L'indagine condotta da un prete di Asiago, che su questo tema ha scritto un libro

di ANDREA ACCORDINI
“Come sogni la chiesa? Come la vorresti?”. Sono le due domande che don Federico Fabris, sacerdote vicentino della diocesi di Padova, ha rivolto ad una cinquantina di giovani suoi conoscenti. Lo scopo era dare spiegazione a quella continua emorragia di fedeli, e di giovani soprattutto, che la maggior parte delle comunità cattoliche occidentali sta vivendo.
«Durante le celebrazioni mi sono ritrovato con tanti vuoti e tanti capelli bianchi davanti e mi è venuto spontaneo chiedermi come mai chi veniva prima, oggi non viene più», ha spiegato il presbitero la scorsa settimana durante un incontro pubblico promosso dalla parrocchia di Santa Maria Annunciata di Castel d’Azzano. Da questo interrogativo è partito nel 2015 un percorso di ricerca non tanto (e non solo) nei libri e nei convegni, ma andando a confrontarsi con i diretti interessati.
«Con una certa sorpresa – ha confessato don Fabris – ho potuto constatare come quasi tutti i giovani interpellati abbiano risposto. La maggior parte mi ha anche ringraziato e mi ha chiesto di aver pazienza per formulare con un tempo adeguato la propria risposta, non essendo “una domanda che ci si sente rivolta tutti i giorni”».
Ne è nato un piccolo esperimento di ascolto sinodale, proprio pochi anni prima che il Sinodo dei vescovi su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” ponesse – con le medesime modalità di lavoro – le stesse questioni all’attenzione di tutto il mondo. Quanto emerso è stato raccolto in un volumetto (La Chiesa che vorrei. I giovani sollecitano la comunità cristiana, Effatà editrice, 2021), in cui ogni risposta è stata accompagnata da alcune righe di commento di don Fabris e da qualche passo in riferimento a qualche santo, o alle encicliche di papa Francesco, che richiamano quello che è il nucleo centrale della risposta.
Ma cosa emerge da questi ascolti? Le risposte sono varie: si va dalla semplicità di chi desidera “che il parroco mi salutasse alla fine della Messa” o che il prete possa essere “vicino ai giovani in maniera anche scherzosa”, a chi chiede più coraggio, più apertura sui grandi temi sociali di oggi, come la comunione per i divorziati risposati o l’aborto. Ciò che però caratterizza la maggior parte delle risposte è un appello alla relazione, ad una dimensione relazionale dell’esperienza ecclesiale. “Sogno parrocchie che si sentano famiglie”, scrive un giovane; oppure “comincio col rispondere che la Chiesa non dovrebbe ‘attirare’ i giovani… ma ‘accogliere’…”; o ancora “vorrei che fosse come casa mia, un nido”.
«Credo – ha rimarcato don Fabris – che sia importante recuperare il significato di una parolina che anch’io riscopro quotidianamente nel mio ministero all’interno del mondo ospedaliero: umanità». Un valore, sostiene il presbitero, che deve diventare stile e messaggio soprattutto con chi soffre. «Davanti alle difficoltà dei malati che incontro all’ospedale di Asiago dove sono cappellano, vedo che talvolta le parole e le prediche fanno poco, può servire molto di più un abbraccio, mettersi in ascolto, condividere la vita e la sofferenza».
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