«Siria, dove è morta anche la speranza»
di STEFANO ORIGANO
Parla il nunzio apostolico card. Zenari: «Tutto distrutto e ricostruzione quasi impossibile»
di STEFANO ORIGANO
«Tirato da tutte le parti, non c’è tempo neanche per lavarsi le mani... Qui non siamo in Europa, la rete telefonica funziona a singhiozzo, gli spostamenti quasi impossibili. Arrivo a sera e mi addormento appena vedo un letto. E poi lo stress sia fisico che di emozioni è una cosa indicibile. Ho visto una folla enorme di povera gente veramente sottoposta ad una fatica impressionante». Sono al telefono con il card. Mario Zenari, il prelato veronese che si trova in Siria come nunzio apostolico, cioè come rappresentante diplomatico pontificio, e queste parole mi arrivano da una flebile voce, come se provenissero dalla luna. Sono trascorsi quasi due settimane dal terribile sisma che ha spostato la terra della Penisola anatolica di circa 4 metri stando alle misurazioni satellitari e lasciando una scia impressionante di macerie e di vittime – si contano più di 41mila morti tra Turchia e Siria, ma potrebbero essere anche il doppio e il numero è in continuo aumento.
La Caritas diocesana di Verona ha aperto una sottoscrizione per raccogliere fondi che saranno inviati alla nunziatura in Siria con questo Iban IT 91 P 02008 11770 000105690133. Siamo riusciti a sentire il cardinale al cellulare per qualche minuto durante una pausa pranzo per avere qualche notizia “fresca” sull’andamento della situazione subito dopo il catastrofico evento che ha gettato nella disperazione un Paese che già si trovava sull’orlo del baratro.
– Eminenza, la Siria certamente ha risentito di più del sisma rispetto alla Turchia, data anche la sua precaria condizione socio-politica. Come stanno andando le cose?
«Devo dire che tutto questo si è aggiunto ad una situazione di guerra che perdura da 12 anni e quindi si sono aggiunte nuove numerose vittime a quelle che già ammontano a più di mezzo milione e che il conflitto in atto continua a mietere. Di queste, 29mila sono bambini secondo le statistiche delle agenzie delle Nazioni Unite. Poi ci sono i profughi: la Siria conta il numero di sfollati interni più alto al mondo in proporzione al suo territorio e ammontano a circa sette milioni, molti di questi più volte sfollati. Ricordo per esempio una famiglia che adesso è morta sotto le macerie, era sfollata ad Aleppo e sono morti sotto le tende a Latakia sulle coste del Mediterraneo (corrispondente all’antica Laodicea, ndr). Senza dire che poi ci sono quasi altrettanti rifugiati nei Paesi vicini. Ho assistito con i miei occhi a distruzioni su distruzioni, interi villaggi e quartieri ridotti a cimiteri. Prendo a prestito il titolo di una giornalista siriana che 4/5 anni fa, dopo aver visitato un campo di battaglia, ha scritto un articolo dal titolo “Un mare di dolore” e aggiungo che questo mare di dolore è divenuto un’alta marea».
– Chi sta visitando in questi giorni?
«Sto visitando i centri di accoglienza, porto la vicinanza del Papa, soprattutto nella zona di Aleppo e Latakia dove le parrocchie sono diventate centri di accoglienza fino ad essere stracolme. A volte diverse centinaia e in alcuni casi anche più di mille persone sono accolte nelle nostre strutture ancora agibili, ma non basta mai. Immaginate le situazioni in cui sono accolti e le condizioni climatiche, con temperature che di notte vanno sotto zero; in alcune zone c’è neve e loro sono lì, dormono per terra, non hanno materassi, non hanno coperte e pochissimo cibo. Su tutti i volti la medesima espressione: paura di rientrare anche nelle poche case rimaste in piedi. Io ero abituato da 12 anni di guerra a vedere distruzioni, scheletri di palazzi… Ma adesso bisogna fare attenzione a quello che non si vede: si vedono tanti caseggiati distrutti, ma quelli non crollati hanno delle crepe e delle fessurazioni tali, nelle strutture, da renderli pericolosissimi, potrebbero collassare da un momento all’altro. Secondo le analisi fatte dai tecnici delle Nazioni Unite ad Aleppo, per esempio, una casa su tre, se non è crollata, è pericolante e dunque inabitabile. Ho incontrato i vescovi, e prossimamente verrà a visitarci una delegazione da Roma con mons. Claudio Gugerotti, prefetto del Dicastero per le Chiese orientali; e poi arriveranno anche gli aiuti da parte della Chiesa. Cosa non facile, è complicatissimo far arrivare gli aiuti fin qui».
– È riuscito ad andare in tutte le province coinvolte?
«C’è una zona che io non posso visitare ed è quella più colpita dal sisma, nella provincia nord-occidentale di Idlib, vicino al confine; è sotto il controllo dei ribelli, da lì arrivano poche notizie, ma sembra che la situazione sia ancora più grave come numero di vittime. Proprio in quel territorio abbiamo due parrocchie con due frati francescani, circa settecento fedeli cattolici e qualche ortodosso». – Come percepite da lì la partecipazione al vostro dramma da parte del resto del mondo e in particolare dei Paesi occidentali? «Devo dire che le persone sono più sensibili verso le calamità naturali rispetto alla guerra: il giorno dopo lo tsunami avvenuto nel sud-est asiatico nel 2004 è arrivato uno tsunami di aiuti da tutto il mondo, qui invece... Noi speriamo che arrivino tanti aiuti, tuttavia mi rendo conto che non è facile perché siamo un Paese in guerra, in crisi sotto tutti i punti vista. Non è come da voi: dopo il terremoto si è mobilitata una unità di crisi e subito sono iniziate le operazioni per la ricostruzione. Qui i sopravvissuti si devono accontentare di un materassino e di una coperta se va bene, poi non si sa cosa li aspetta per il futuro. Non ci sono più ospedali; non c’è corrente elettrica se non un paio d’ore al giorno, verso sera; mancano i carburanti. L’economia è al collasso, le infrastrutture sono gravemente compromesse, gli spostamenti limitati. Il 90% della popolazione è ridotta in miseria totale».
– In questa catastrofe, c’è qualche segno di speranza?
«Ho visto tanti volontari, tante associazioni che si danno da fare, sono una goccia d’acqua in un mare, tale è la tragedia, però sono lì e questo è senz’altro un segnale importante. I punti di domanda sono tantissimi, ma non ci resta che rimboccarci le maniche e darci da fare per quello che possiamo nell’immediato».
– La Chiesa veronese ha immediatamente lanciato una raccolta straordinaria di offerte in tutte le parrocchie e le comunità della diocesi. Vorremmo esservi tutti più vicini, ma non ci sono tante possibilità di darvi una mano se non con il sostegno economico e la generosità in questo momento.
«Ringrazio il vescovo di Verona Domenico e tutti i cittadini veronesi per la loro generosità e vorrei far giungere questo messaggio a voi tutti, miei cari concittadini: sono rimasto impressionato dai volti di tante povere donne sole, smagrite, provate da indicibili sofferenze, ma al tempo stesso porto nel cuore anche l’immagine di tantissimi bambini che mi accolgono ovunque mi rechi e sono contenti di vedermi, mi sorridono, sembrano quasi felici... nonostante tutto. Qualcuno di loro sfoggia anche qualche parola in inglese “Thank you, I love you…”. Ecco, lascio a tutti i lettori di Verona fedele queste parole che mi hanno rivolto i bambini: “Grazie”».
– Qualche settimana fa ci diceva che ora non bisogna far morire la speranza per queste popolazioni così duramente provate dalle bombe...
«Ora mi viene da dire che ormai la speranza è morta e sepolta, ma tocca a tutti noi farla risuscitare».
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