Nelle Regioni i colori della paura tra chiusure e sanità al collasso
Lombardia rossa, in grave difficoltà; Veneto (ancora) giallo. Ma il vaccino...
Nel momento in cui scriviamo il Veneto si trova (ancora) in area gialla, ma rischia di diventare arancione come precipitosamente lo sono diventate la Toscana, la Liguria, l’Abruzzo, l’Umbria e la Basilicata. La Campania, poi, rischia di passare da gialla a rossa in un colpo solo. Prova provata che nella classificazione delle Regioni per determinare i gradi di chiusure di attività, si sono osservati i 21 parametri stabiliti dagli esperti che affiancano la presidenza del Consiglio; ma non solo.
Dentro certe decisioni ci sono ragioni (anche, spesso) politiche e non solo scientifiche o sanitarie. Il rischio di rivolte popolari era ed è alto a Napoli, città in cui le attività “grigie” – se non “nere” – danno da campare a migliaia di persone. Chiudere repentinamente avrebbe significato scatenare la rabbia popolare che certuni, poi, sanno attizzare ad arte per creare quel marasma in cui meglio sguazzano. Quindi subito chiusure soft, e poi velocemente chiudere tutto quando il sasso sarebbe stato meglio “digerito”.
Perché il vero parametro da valutare è la tenuta dei sistemi sanitari regionali di fronte all’avanzare della pandemia. La rete ospedaliera di Calabria, Campania e Puglia era da Secondo o Terzo mondo, ed è rimasta tale tra la prima e la seconda ondata di Covid. Nessuno ha incrementato le terapie intensive, rafforzato il personale ospedaliero, in certi nosocomi nemmeno creato percorsi dedicati per positivi al Covid. Nemmeno un ascensore.
Si è arrivati al paradosso-Calabria, che la dice lunga su come funziona questo Paese, in generale e nello specifico meridionale. Qui la sanità regionale è commissariata dal 2010 (da dieci anni!) e sforna ogni anno disavanzi milionari in cambio di prestazioni sanitarie terzomondiali. Non sta in piedi in tempi normali; con il Covid è crollata. Nel 2020 ha cambiato tre commissari straordinari perché il primo non sapeva manco cosa fosse un ventilatore polmonare per sua ammissione; il secondo ha ammesso in tivù di non sapere che fosse suo compito quello di redigere il piano Covid della Regione. Gli è succeduto un terzo commissario, che ha candidamente dichiarato sui social che le mascherine non servono a nulla (ha usato un termine molto più volgare) e che per contagiarsi occorre baciarsi per un quarto d’ora. Se non sono ignoranti come capre, non li prendono nemmeno in considerazione...
Così, una Regione che non aveva un’alta incidenza di contagiati è finita in zona rossa a causa di una sanità comunque insufficiente a guarire un ascesso dentale.
C’è quindi da rallegrarsi che qui in Veneto le cose vengono prese molto più sul serio. Siamo zona gialla, quella con restrizioni più blande; ma contagi e comportamenti sociali stanno facendo vacillare la posizione veneta: si rischiano chiusure e limitazioni da zona arancione (vedi tabella a lato).
La Lombardia – dove sta una parte della diocesi scaligera – è invece da subito in zona rossa: è la regione più colpita da questa seconda ondata, come nel marzo scorso. Se l’epicentro quella volta erano state Bergamo e Brescia, ora la situazione appare drammatica soprattutto a Monza e Varese, dove reparti, pronto soccorsi e terapie intensive sono al collasso.
Il vero problema è dunque quello di avere forze sufficienti per affrontare l’ondata, mentre nel mondo si respira all’annuncio della multinazionale farmaceutica Pfizer di avere ottimi riscontri dal vaccino che sta mettendo a punto. Tanto che si parla già di milioni di dosi da distribuire nei prossimi mesi, s’immagina anzitutto alla categoria più a rischio che è quella degli anziani.
Nel frattempo però si muore, si sta malissimo, ci si ammala, ci si infetta. Ogni giorno una piccola città prende il Coronavirus; ogni giorno un intero paesino finisce ricoverato, e un quartiere al camposanto. Manca il personale per fare oltre 200mila tamponi giornalieri, per esaminarli, per classificarli; è saltato il tracciamento, cioè il circoscrivere l’ambito sociale di chi è risultato positivo. Mancano soprattutto medici e infermieri in prima linea, a Verona come altrove. Tant’è che la sanità scaligera ha deciso il personale “coprifuoco”: stop a interventi chirurgici che non siano urgenti e indifferibili; stop a prestazioni mediche che non abbiano le stesse caratteristiche.
Si crea così un ingolfamento tale a quello della primavera scorsa, che ancor oggi non eravamo riusciti a smaltire, con operazioni chirurgiche saltate e rimandate, visite mediche e specialistiche rinviate a data da destinarsi, addio prevenzione e insomma una deminutio di cure generali altrettanto pericolosa quanto il virus.
Per ora il sistema economico sta tenendo, con i primi soldi pubblici inviati a chi ha dovuto chiudere l’attività lavorativa causa lockdown: particolarmente penalizzati i settori turistici e della ristorazione, almeno nel Veneto (e tutte le filiere collegate). Spostato in là pure il termine dal quale ripartiranno i licenziamenti, ma la vera incognita è l’andamento dell’epidemia proprio nelle prossime due-tre settimane: se l’indice di contagio (il famigerato Rt) non accenna a diminuire, se la pressione sugli ospedali non cala o almeno si stabilizza, la realtà dell’Italia intera sarà colorata di rosso. Perché nessuno si salverà da un lockdown comunque meno severo rispetto a quello primaverile.
A quello, nessuno vuole arrivarci per un motivo molto semplice: i danni economici sono stati colossali, ci siamo indebitati fino al collo per farne fronte ma non c’è più la possibilità di ripetere il salvataggio. In parole povere, sarà un’autentica e immediata distruzione di ricchezza nazionale, con la conseguente ondata di disoccupazione, povertà, turbolenze sociali. Un panorama che al solo pensarci mette i brividi.
Al di là dei colori delle varie Regioni, rimangono sempre validissime le raccomandazioni che si fanno dall’inizio della pandemia: distanziamento fisico dalle altre persone, prudenza (soprattutto in ambito familiare allargato), igiene e sanificazioni. Il Covid-19 è un’influenza che può avere conseguenze devastanti, quindi è meglio abundare quam deficere quanto a misure prudenziali.
Per il resto, aspettiamo il vaccino, sperando che le autorità competenti non si facciano trovare impreparate come in queste settimane, nelle quali si scopre che le dosi di vaccino influenzale “classico” sono assolutamente insufficienti e che non è stato fatto granché nei mesi estivi per essere più reattivi nei confronti della pandemia. Contavamo, come al solito, nello “stellone” italico. Si è preso il virus pure lui...
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