Il virus nel virus
Le “terapie” economiche usate per neutralizzare la prima ondata di Covid non saranno disponibili per la seconda e le eventuali successive
Adesso la battaglia sarà tra mondo intero e Covid. Quando pure gli eschimesi si ammalano, vuol dire che nessuno si può tirare fuori, ci siamo tutti dentro a tempo non definito. E l’economia ne risentirà pesantemente almeno fino a quando non si troveranno soluzioni sanitarie di contenimento e/o di eliminazione del virus.
La prima ondata ha provocato danni notevoli, l’economia italiana è regredita di oltre vent’anni, il debito pubblico è schizzato alle stelle. La buona notizia è che non siamo finiti in ginocchio; la brutta, che le “terapie” usate per neutralizzare la prima ondata non saranno disponibili per la seconda e le eventuali successive: non ci sono fabbriche che stampano soldi, l’impoverimento collettivo non sarà arginabile con nuovi debiti.
Già ora gli effetti si sono fatti sentire sulle classi sociali più deboli, sui lavoratori a basso reddito e su quelli impiegati in certi settori (turismo, ristorazione, accoglienza, spettacoli, logistica, trasporti…) falcidiati dalla rivoluzione imposta dal virus. Collettivamente, stiamo tutti sperando che il peggio sia passato; obiettivamente, il turismo di massa di prima, con milioni di cinesi e americani a gironzolare per Venezia o Firenze, non lo rivedremo per un pezzo. E sarà più faticoso vendere nel mondo il made in Italy (moda, design, agroalimentare), se l’Italy non la conoscono.
La brutta stagione difficilmente porterà miglioramenti nella diffusione della pandemia, anzi. Il vaccino non sarà quasi sicuramente risolutivo, come non lo è quello annuale per l’influenza. Aiuterà, ma fino a un certo punto: l’umanità – in particolare l’Occidente – rischia di chiudere un capitolo iniziato oltre 70 anni fa e deve immaginarsene un altro.
Il vero rischio è un forte impoverimento generale. L’unica cura è la creazione di nuova ricchezza, basandosi sulla sostenibilità ambientale, sulle nuove tecnologie, sull’abbattimento dei costi energetici e logistici. Il pericolo più grosso è un altro. L’Occidente ricco rischia di barricarsi, la globalizzazione aveva permesso a centinaia di milioni di abitanti del Terzo Mondo di mettere assieme pranzo con cena, grazie soprattutto alle migliaia di fabbriche spostatesi dalla vecchia Europa all’Asia e Africa (e dagli Usa al Messico, Brasile, Argentina) e a un mondo sempre più connesso.
Se avremo bisogno di lavoro, di nuova occupazione, il ritorno a casa di quelle fabbriche sarà non solo necessario ma fortemente agevolato. La delocalizzazione ostacolata. Mors tua vita mea. Ma l’umanità, soprattutto al giorno d’oggi, non funziona a compartimenti stagni. Il Covid lo sta dimostrando.
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