Nel nome di don Girelli una Casa recupera i malati che hanno commesso reati
di ADRIANA VALLISARI
Da dieci anni a Ronco all'Adige con risultati eccezionali
di ADRIANA VALLISARI
Hanno commesso dei reati molto pesanti, ma la loro mente è disturbata: che fare con queste persone, bollate come “folli rei”? Contro il semplicistico e disumano “rinchiudiamoli e buttiamo via la chiave”, in provincia di Verona opera da 10 anni una struttura unica nel suo genere. La “Casa don Girelli” di Ronco all’Adige – nata dal carisma di un sacerdote illuminato, il venerabile don Giuseppe Girelli (1886-1978) – è la risposta qualificata a questa domanda.
È stata la prima struttura in Veneto a occuparsi dell’accoglienza di pazienti psichiatrici autori di reato, a partire dal 2012, un anno prima che fossero dismessi gli Opg, gli ospedali psichiatrici giudiziari. Gli ex internati – oggi in gran parte provenienti dalle Rems, le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (ce n’è una anche a Nogara) – qui seguono dei programmi terapeutici riabilitativi, non farmacologici, che consentono di riavvicinarli alla società, evitando che reiterino il reato commesso.
La “Casa don Girelli” è accreditata in Regione per 16 posti letto. «Accogliamo pazienti da tutto il Veneto, che restano in trattamento da noi per due anni», spiega il direttore Giuseppe Ferro, che è pure vicepresidente di Fenascop (Federazione nazionale strutture comunitarie psicoterapeutiche). I dati dicono che la formula funziona, perché in tutti i soggetti seguiti si azzera la recidiva. Parliamo di crimini commessi da persone malate; seguite da personale altamente specializzato, si lavora sulla loro patologia e sulla relativa pericolosità sociale.
«Per ogni paziente c’è un progetto tagliato su misura, come un abito sartoriale, con obiettivi precisi e iper-personalizzati – illustra Ferro –. In un decennio ne sono transitati dalla Casa un centinaio: finito il percorso, sono stati indirizzati ad altre strutture oppure sono rientrati a domicilio, a seconda dei casi». Di fondo, c’è un’idea che fa da pilastro alle attività: nessuna vita è indegna di essere vissuta. «Abbiamo rivitalizzato secondo le esigenze moderne il carisma del nostro fondatore: gli ergastolani a vita che incontrava lui in carcere non ci sono più, ma i temi del suo lavoro si riverberano sul nostro operato – sottolinea il direttore –. Oggi a essere più a rischio sono i giovani, che si trovano in una situazione di possibile reato: in una società senza limiti, come la nostra, la fascia più critica da qua ai prossimi vent’anni è proprio la loro».
La pandemia, dicono i dati, ha peggiorato le cose. «Dallo stalking condominiale agli incesti durante il lockdown, abbiamo registrato un aumento dei casi; perciò è importante agire sulla prevenzione primaria: quando ci si accorge in famiglia di un emergere di violenza, meglio consultare subito i centri anti-violenza», consiglia Claudio Fabbrici, per 40 anni docente di Psicologia all’Università di Bologna. Fabbrici è il responsabile clinico di Chirone, Centro studi ricerca e trattamento dei comportamenti abusanti (maltrattamenti, violenza domestica, stalking, ecc.), aperto due anni fa a Ronco all’Adige grazie all’esperienza decennale dell’associazione Don Giuseppe Girelli (presieduta dal parroco di Ronco, don Davide Fadini); Chirone ha una costola anche a Montebelluna (Treviso), seguita da Rita Bressan.
«Il Centro, nato per contrastare i comportamenti abusanti, offre dei trattamenti ambulatoriali e residenziali – illustra il referente –. La segnalazione avviene attraverso i legali, i centri anti-violenza, i servizi sociali territoriali o le forze dell’ordine; finora, abbiamo seguito una quarantina di soggetti, sottoposti a un trattamento su indicazione di un magistrato». Sono costanti i collegamenti con le carceri, da Rimini a Bolzano. E, ovviamente, con la casa circondariale di Montorio, in città. «Nel 2021 abbiamo seguito sul posto una ventina di persone maltrattanti, quest’anno invece stiamo aiutando altrettanti giovani adulti che stanno per uscire, e non hanno compiuto reati abusanti, a pensare alla loro vita dopo il carcere, perché non vi rientrino», illustra Fabbrici. Queste due realtà con radici ronchesane – alle quali si aggiunge anche “Casa San Giuseppe”, che accoglie 14 pazienti multi-problematici – si inseriscono nell’ottica riabilitativa e terapeutica della pena. Una prospettiva coltivata anche da Contrasti, organismo nazionale nato quattro anni fa, di cui la Don Girelli è stata tra i fondatori. «Per fortuna, negli anni, è cambiata la cultura: chiudere gli Opg è stato un grande atto di civiltà», concludono i responsabili.
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