«La nomina mi ha sorpreso però Verona "mi intriga"»
di STEFANO ORIGANO
Il neo-pastore della chiesa di San Zeno di confida con Verona fedele
di STEFANO ORIGANO
L’attesa per l’arrivo del nuovo Vescovo a Verona – mons. Domenico Pompili che lascia la diocesi di Rieti – si è fatta sentire, ma ormai siamo giunti al momento dell’incontro che segna una nuova partenza per la sua vita personale e di pastore, e certamente un’occasione anche per la comunità veronese per far tesoro di un nuovo Vescovo donatogli in vista del suo cammino in questo cambiamento epocale nel quale ci troviamo come a metà del guado.
Avremo modo di attingere dalle sue stesse parole l’insegnamento e la direzione verso la quale camminare insieme, ma prima di tutto vogliamo conoscerlo come persona, come sacerdote, come Vescovo. Vogliamo sapere anche cosa gli piace, quali sono le sue passioni e come è arrivato fino a noi. Gli abbiamo posto alcune domande che toccano i risvolti personali per soddisfare una certa curiosità che ci caratterizza come veronesi, ma anche perché l’affetto che spontaneamente suscita la sua figura, una volta conosciuto un po’ di più, diventi autentico e filiale rispetto.
– Eccellenza, ci parli un po’ della sua storia, della sua famiglia e di come è nata la sua vocazione.
«La mia famiglia è di Acuto, un piccolo paese vicino a Fiuggi, nel nord della Ciociaria, nei pressi di Anagni; sono il terzo di cinque fratelli, due dei quali (una sorella e un fratello) sono scomparsi qualche anno fa. Questi eventi luttuosi sono stati una grande prova per tutti noi e in modo particolare per i genitori già avanti negli anni, che però hanno affrontato e superato grazie al loro rapporto molto simbiotico. Fin da bambino ho fantasticato attorno alla figura del prete in quanto attratto dal parroco, una persona molto anziana, ma simpatica e dalla forte personalità. Ho frequentato le attività parrocchiali ed è cresciuta in me la consapevolezza che questa strada potesse essere una cosa interessante. Sicuramente la liturgia ha giocato una partita importante: fare il chierichetto per noi era un gioco, ma anche la possibilità di conoscersi tra coetanei e di intuire che si percepiva di vivere da vicino una realtà importante. Questo sentimento ce lo aveva trasmesso una suora molto brava a calamitare attorno a sé bambini che potessero mettersi a servizio della liturgia».
– Questo conferma che le scelte, soprattutto quelle che segnano le decisioni fondamentali della vita, sono caratterizzate da alcune figure di riferimento. Ce ne sono state altre in seguito?
«Sì. Spinto da questi desideri ancora informi sono entrato in seminario e lì, strada facendo, sono maturato grazie alla guida di un padre spirituale – circostanza che ora rileggo non del tutto casuale – che era veneto di origine: padre Mario Rosina. Era un filosofo e allo stesso tempo un uomo di grande capacità educativa. Dopo gli anni del liceo ho maturato così l’idea che potessi fare qualcosa di utile anche per gli altri mettendomi a servizio della Chiesa. La premessa di questo è stata la conoscenza di prima mano di Gesù Cristo attraverso il metodo della lectio divina, che mi ha fatto passare ad una fede più consapevole. L’idea che mi ha accompagnato nel periodo in cui ero seminarista era quella di essere cristiano senza perdere la possibilità di essere contemporaneo, per cui mi piaceva fare le cose che facevano gli altri, stare in compagnia con i miei coetanei e le mie coetanee, giocare a calcio… Mi sembrava importante far sì che il Vangelo non fosse qualcosa che ci estranea, ma ci fa stare dentro, seppur in modo originale, nella realtà; senza atteggiamenti di fuga».
– E dopo l’ordinazione sacerdotale come andarono le cose?
«Il Vescovo mi fece fare una esperienza molto intensa, ma che poi ha dato risultati moto positivi per la mia vita e il mio ministero: mi fece diventare suo segretario e contemporaneamente mi fece continuare gli studi in Teologia morale e contestualmente parroco di Vallepietra, un piccolo paese vicino a Subiaco. Tre giorni per lo studio, due giorni come segretario e due giorni come parroco mi permisero di fare anche esperienza pastorale, con una responsabilità piccola, ma oggettiva. Ho così sperimentato fin da subito le diverse dimensioni della vita del prete: la cura pastorale, l’approfondimento teologico e la collaborazione con il Vescovo nel governo e nella cura della comunità diocesana. Stare a fianco del vescovo Luigi Belloli, milanese cresciuto con il card. Montini, così lontano da me per cultura, formazione e sensibilità oltre che per età, mi ha segnato profondamente perché mi ha offerto un esempio significativo per essere sensibile alle istanze del tempo. Mi ha insegnato a rendere più comprensibile il Vangelo nella vita di oggi».
– In quale ramo della Teologia morale si è specializzato?
«Mi sono dedicato all’etica sociale, approfondendo soprattutto la Sollicitudo rei socialis di Giovanni Paolo II, un testo che precede di poco il crollo del Muro di Berlino e che inaugura temi che di lì in avanti sarebbero diventati correnti come la globalizzazione, la cura dell’ambiente, la giustizia sociale, lo sviluppo di una economia che renda il mondo una casa abitabile per tutti. Ricordo che la mia terra ha dato le origini anche a Leone XIII, che ha avviato un percorso fecondissimo di impegno dei cattolici in ambito sociale e dove anche Verona ha assunto un ruolo non secondario come laboratorio e fucina di esperienze che hanno creato le premesse di una presenza dei cattolici in politica, ma a partire dalle relazioni con la società civile».
– E l’impegno per la comunicazione da dove nasce?
«È una passione che nasce dal desiderio di rendere condivisibile ciò in cui si crede e ha radici molto lontane, perché parte da quando – insieme con un gruppo di ragazzi e giovani – pubblicavamo il giornalino parrocchiale. Poi in Diocesi ad Anagni ho seguito questo aspetto e in seguito anche nella Conferenza episcopale italiana: alla guida dell’Ufficio delle comunicazioni sociali durante il pontificato di Benedetto XVI (scoppiarono grandi questioni) ci impegnammo a superare l’atteggiamento di difesa promuovendo l’immagine della Chiesa presente nel quotidiano. Lì abbiamo sperimentato che la comunicazione nella Chiesa non è un settore, ma una dimensione trasversale».
– E infine il mondo digitale che ha cambiato il volto del mondo...
«Nel 2010, con il convegno “Testimoni digitali”, si è incominciato ad affrontare a viso aperto la transizione digitale che apparentemente è solo di natura tecnica, mentre invece è una vera e propria transizione antropologica. L’interpretazione di questo mondo, cangiante, non può non sollecitare l’attenzione di chi cerca la gente perché abita in questo mondo. Senza complessi o riduzionismi, bisogna che pure noi ci stiamo, ne conosciamo le dinamiche e i pericoli, ma anche i punti di forza come per esempio la ricerca di relazioni che la vita moderna ha penalizzato. La Chiesa ha sempre parlato tutti i linguaggi: l’arte, la musica, la letteratura, e non ha mai trascurato gli strumenti mediatici, dalla radio di Marconi in poi. Siamo aperti a tutti i linguaggi, valorizzandone le opportunità e vigilando sui pericoli».
– E lei, è un uomo social?
«Non ho profili social, perché non riesco a trovare il tempo necessario per gestirli. Quindi mi appoggio all’Ufficio diocesano perché penso che comunque sia importante seguirli. È un ambiente stimolante e dinamico».
– Torniamo un istante sulle passioni. Lei per quale squadra tifa? Quali sono gli altri suoi interessi?
«Fin da bambino sono tifoso del Cagliari, quello che ha vinto lo scudetto nel 1969-’70 con i goal di Gigi Riva e la guida del filosofo Scopigno (legato alla città di Rieti prima come giocatore e poi fino alla fine della sua vita). Ho sempre giocato a pallone e lo sport mi ha accompagnato per tutta la vita a partire dal seminario, dove ha un ruolo importante. Mi piace la musica, sia quella classica che i cantautori contemporanei. Mi piace anche ascoltare il silenzio, pregare, pensare…».
– Un altro ambito a lei congeniale è quello legato agli stili di vita e in particolare ai gruppi Laudato si’; ci spieghi perché.
«A parte la formazione teologica nella morale sociale, tutto è nato con il terremoto di Amatrice e l’impulso è venuto da Carlin Petrini, fondatore di Slow Food, che ha avuto un percorso molto diverso dal mio eppure ci siamo incontrati e abbiamo iniziato insieme a cercare qualche risposta alla domanda sul tipo di rapporto da instaurare con l’ambiente, soprattutto dopo l’esperienza tragica del terremoto. Piuttosto di insistere su chi addossare le responsabilità di quanto accaduto, abbiamo cercato di approfondire come un fatto naturale di queste proporzioni ci chieda di fare i conti sulla nostra responsabilità e su come possiamo abitare diversamente il territorio. Siamo noi a doverci adattare anche a questi eventi, senza i quali non ci sarebbero le montagne e nemmeno l’acqua dolce. Da lì è nata l’idea che la Laudato si’, appena pubblicata da papa Francesco, fosse non un manifesto verde, ma una fonte di ispirazione per le persone che cercano di conciliare la vita e il territorio con i principi dell’ecologia integrale. I gruppi Laudato si’ sono comunità affettive di persone che non si limitano a fare delle cose giuste, ma che sono coinvolte in queste nuova e potente visione, consapevoli che tutto è connesso».
– Infine, in confidenza, con quale stato d’animo viene a Verona?
«La mia nomina, che dal Lazio mi passa al Veneto, a molti e all’inizio anche a me, è parsa un tantino estraniante; ma alla luce dell’esperienza passata e dopo il primo impatto con la città e il vescovado di Verona, dico che vengo con animo sereno. Sono consapevole dell’attesa del pastore e ciò mi carica di responsabilità e al tempo stesso mi motiva. Anch’io sono curioso e desideroso di poter cominciare ad incontrare le persone e conoscere le realtà di questa Chiesa che sicuramente è complessa, ma presenta una ricchezza singolare. Affronteremo le questioni che devono essere affrontate, rincuorato dall’essere capitato in un luogo dalla bellezza seducente: a cominciare dall’ansa del fiume che abbraccia la mia nuova dimora, trasmettendomi una sensazione di grande vitalità».
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