Apriamo le porte al vescovo Domenico!
di REDAZIONE
Il neo-pastore della Chiesa di san Zeno, che farà il suo ingresso il 1° ottobre, si confida in un'intervista esclusiva a Verona fedele
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L'attesa per l'arrivo del nuovo Vescovo a Verona – mons. Domenico Pompili che lascia la diocesi di Rieti – si è fatta sentire, ma ormai siamo giunti al momento dell'incontro, che segna una nuova partenza per la sua vita personale e di pastore, e certamente un'occasione anche per la comunità veronese per far tesoro di un nuovo Vescovo donatogli in vista del suo cammino in questo cambiamento epocale nel quale ci troviamo come a metà del guado.
Avremo modo di attingere dalle sue stesse parole l’insegnamento e la direzione verso la quale camminare insieme, ma prima di tutto vogliamo conoscerlo come persona, come sacerdote, come Vescovo. Vogliamo sapere anche cosa gli piace, quali sono le sue passioni e come è arrivato fino a noi.
Gli abbiamo posto alcune domande che toccano i risvolti personali per soddisfare una certa curiosità che ci caratterizza come veronesi, ma anche perché l’affetto che spontaneamente suscita la sua figura, una volta conosciuto un po’ di più, diventi autentico e filiale rispetto.
– Eccellenza, ci parli un po’ della sua storia, della sua famiglia e di come è nata la sua vocazione.
«La mia famiglia è di Acuto, un piccolo paese vicino a Fiuggi, nel nord della Ciociaria, nei pressi di Anagni; sono il terzo di cinque fratelli, due dei quali (una sorella e un fratello) sono scomparsi qualche anno fa. Questi eventi luttuosi sono stati una grande prova per tutti noi e in modo particolare per i genitori già avanti negli anni, che però hanno affrontato e superato grazie al loro rapporto molto simbiotico. Fin da bambino ho fantasticato attorno alla figura del prete in quanto attratto dal parroco, una persona molto anziana, ma simpatica e dalla forte personalità. Ho frequentato le attività parrocchiali ed è cresciuta in me la consapevolezza che questa strada potesse essere una cosa interessante. Sicuramente la liturgia ha giocato una partita importante: fare il chierichetto per noi era un gioco, ma anche la possibilità di conoscersi tra coetanei e di intuire che si percepiva di vivere da vicino una realtà importante. Questo sentimento ce lo aveva trasmesso una suora molto brava a calamitare attorno a sé bambini che potessero mettersi a servizio della liturgia».
L'INTERVISTA COMPLETA È SUL NUMERO DI VERONA FEDELE DEL 2 OTTOBRE
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