«Il mio primo giorno di scuola... in 13 istituti»
Parla la preside Lidia Marcazzan: «La carenza di dirigenti è un'emergenza che va affrontata»
«Nei momenti di difficoltà bisogna fare cordata». Usa una metafora alpinistica per fotografare il cammino in salita della scuola, Lidia Marcazzan. Da cinque anni è dirigente dell’IC9 Valdonega, istituto comprensivo che raduna le primarie Nievo e Fraccaroli, la secondaria di primo grado Catullo, un indirizzo musicale e la scuola in ospedale.
Ai suoi 650 alunni, ne aggiungerà altrettanti. Per tutto il prossimo anno scolastico, infatti, la preside reggerà pure l’IC18 Veronetta Porto; un polo che comprende le secondarie di primo grado Duca d’Aosta e Fava, tre primarie (Rubele, Massalongo e Maggi) e tre dell’infanzia (Preto, Sole Luna e Coccinelle). In tutto, tredici scuole e 1.300 studenti. Effetto della carenza di presidi.
– Come la vive?
«Con senso di responsabilità. A Verona quasi tutti i dirigenti hanno dato la disponibilità alla reggenza. È un momento critico per la scuola e noi siamo stati i primi a prenderne coscienza e a non lamentarci. Certo, abbiamo spiegato le nostre difficoltà in sede sindacale, perché la reggenza rappresenta un’eccezionalità, è una scuola a singhiozzo».
– A lei è stato assegnato un istituto comprensivo vicino; non per tutti è andata così.
«Molti hanno ottenuto sedi limitrofe, ma alcuni dovranno spostarsi di parecchi chilometri. A risentire di più del disagio sono i dirigenti delle superiori: per colmare il vuoto alle primarie, per la prima volta si è pescato in settori diversi, perfino dai licei».
– Com’è varcare una nuova soglia?
«I cambiamenti possono essere positivi, se si guardano come opportunità e non come un peso. L’ho già detto agli insegnanti, incontrandoli. Potremo farcela solo con una collaborazione attiva e con un protagonismo autonomo basato sulla fiducia».
– Come gestirà lo sdoppiamento?
«Pianificando molto e lavorando sui processi organizzativi interni. Un grande snodo è rappresentato dal personale di segreteria, che garantisce funzionalità all’ingranaggio. In questa fase, oltre ai dirigenti, c’è pure carenza di personale amministrativo. Ma affrontiamo l’emergenza con energia. La differenza la fa la passione. Posso farle un esempio?».
– Prego.
«Appena entrata alle Duca d’Aosta, tra il personale già al lavoro ho trovato un collaboratore scolastico con competenze informatiche. Pensionato dal primo settembre, è rimasto al suo posto per evitare disagi. Ha scelto volontariamente di esserci, anziché andare al mare, magari. Presto gli faremo un contratto. È grazie a queste persone che la scuola italiana fa la differenza».
– Da quando ha fatto il concorso da preside, 11 anni fa, come sono cambiati gli alunni?
«Hanno subito cambiamenti fortissimi. Le nuove generazioni, in tempi velocissimi, sono avanzate nelle competenze digitali, mentre la classe insegnanti ha dovuto formarsi. Tuttavia, la scuola deve usare il linguaggio delle tecnologie in modo dosato, per dar tempo ai ragazzi di maturare. Nella fase evolutiva è fondamentale ricevere una formazione sull’affettività e sulla relazione umana. Bisogna saper interfacciarsi con le persone dal vivo prima di incontrarle dietro a uno schermo».
– Lei è nota per aver introdotto per prima una regola a scuola: consegnare il cellulare appena si entra in classe.
«I ragazzi hanno compreso che lo facciamo per il loro bene. Il telefono serve fuori, dentro è un disturbo. Anche in tasca ruberebbe l’attenzione. Per favorire la concentrazione gli studenti lo consegnano a un bidello, che lo restituisce alla fine delle lezioni».
– Quali sono le lacune degli studenti moderni?
«Non sanno attendere i risultati. Sono abituati al telefonino, che dà tutte le risposte in tempo reale. Sono deboli nell’autonomia, perché hanno genitori che pensano a tutto, e nella pianificazione strategica. Il che li fa vacillare nella tenuta di progetti a lungo termine. Tutti aspetti su cui cerchiamo di lavorare coltivando le competenze trasversali, la cittadinanza attiva e l’educazione alla legalità».
– Un modo per combattere pure bullismo e altre forme di disagio giovanile…
«Sì. In entrambi gli istituti quest’anno partirà una sperimentazione triennale, che porterà dentro la scuola un’équipe di esperti. Insieme al polo di Borgo Roma, siamo stati scelti per il progetto pilota “Benessere a scuola, promozione dell’autostima e del rispetto”, sostenuto dal Comune. Spesso chi siede sui banchi gode di un benessere materiale, ma è fragile dal punto di vista emotivo, fatica a reagire alle frustrazioni e alle difficoltà della vita».
– E i genitori?
«Sono cambiati anche loro. Si va da quelli che non trovano mai il tempo per partecipare alle riunioni a quelli che si comportano in modo quasi invadente».
– Gli insegnanti vivono sfide quotidiane.
«La scuola deve cambiare, non si può fare allo stesso modo di vent’anni fa. Servono formazione e aggiornamento della didattica, con una parte espositiva del docente e una operativa degli alunni. Gruppi di lavoro, classi rovesciate… Gli strumenti ci sono già».
– A Veronetta, quartiere multiculturale, il rinnovamento didattico è un imperativo. Come si resta al passo?
«A un’utenza disomogenea bisogna rispondere con la personalizzazione dei percorsi e metodi nuovi. Le classi multiculturali sono una fucina di opportunità, non uno svantaggio. Ad esempio, grazie a chi mi ha preceduto, le primarie Massalongo – dove la presenza di bambini di origine straniera è al 70% – quest’anno avranno una prima da 25 bambini di ogni nazionalità. Un’inversione importante, dopo anni di calo continuo. Perché? Per la prima volta si applicherà il metodo montessoriano: una novità apprezzata anche dagli italiani, che sono tornati a iscrivere lì i propri figli».
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