Il domani è della telemedicina per aiutare pazienti e famiglie
di MARTA BICEGO
Il progresso tecnologico già consente validi monitoraggi a distanza
di MARTA BICEGO
Cambiano le patologie, a seconda dell’età. Accorciano le aspettative di vita, ma possono gravare sul paziente, obbligandolo a vivere per un determinato numero di anni con disabilità. Parliamo dell’ictus cerebrale, terza causa di morte dopo malattie cardiovascolari e neoplasie; di Parkinson, che interessa circa 18mila soggetti in Veneto, di cui almeno il 20 per cento risiedono nel Veronese; della demenza, una delle patologie più prevalenti e in aumento, anche nei Paesi in via di sviluppo; della malattia di Alzheimer, che nella nostra regione conta circa 50mila malati, di cui 10mila a Verona. Con costi elevatissimi, che ricadono per la maggior parte sulle famiglie.
Un panorama piuttosto complesso, in aiuto del quale arrivano tecnologie come la telemedicina, ha preannunciato il prof. Stefano Tamburin, docente di Neurologia dell’ateneo scaligero. Come università, ha aggiunto, «stiamo collaborando con l’Associazione diocesana delle opere assistenziali (Adoa) e abbiamo sottoscritto tre convenzioni con i dipartimenti di Neuroscienze, Economia aziendale e Informatica. Inizieremo a giugno un corso di perfezionamento in gestione della persona con patologia neurologica in contesti protetti, strutture sanitarie e socio-assistenziali».
Una nota di speranza, assieme alle prospettive descritte da Graziano Pravadelli, docente di Informatica dell’Università di Verona, che ha mostrato esempi concreti di come la telemedicina potrà consentire di verificare se il paziente assume correttamente la terapia, di offrire assistenza virtuale o di monitorare da remoto il decorso di una patologia. Sarà uno strumento per consentire alla persona fragile di mantenere autonomia e senso di autoefficacia, supplendo alle fragilità dovute all’Alzheimer o a problemi neurologici.
Televisita, teleconsulto, telecooperazione e telesalute sanitaria rappresentano le nuove frontiere che riguardano medici e pazienti, accorciando le distanze tra chi cura e chi deve essere curato. Ma a che punto siamo? «Nel 2020 il teleconsulto è stato usato dal 47 per cento dei medici specialisti e dal 39 per cento dei medici di Medicina generale. La televisita dal 39 per cento dei medici specialisti e medici di Medicina generale», ha sintetizzato.
Uno slancio nel periodo della pandemia ha portato, quest’anno, all’aumento dell’uso delle ricette digitali, all’avvio di progetti di telemonitoraggio di anziani e soggetti con problematiche croniche. Ma la telemedicina è anche altro, se davvero bisogna colmare i bisogni: deve agevolare la socialità, contrastare il decadimento cognitivo, fornire pronto intervento sanitario in maniera costante. «Qui, con la teleassistenza, la tecnologia può fare qualcosa in più per la presa in carico della persona fragile, anche a domicilio, per sopperire all’assenza di un familiare o caregiver», ha sottolineato Pravadelli. Sia nelle strutture sanitarie che a domicilio, per far sentire il malato supportato, mentre è a casa propria. Il futuro è in sensori che possono raccogliere costantemente i parametri vitali; in etichette intelligenti che permettono di capire se la terapia è stata seguita; in sistemi ambientali che consentono di comprendere cosa la persona sta facendo all’interno di una stanza o di risolvere sintomi che affliggono i malati. Per facilitare la vita dei pazienti e dei familiari che se ne prendono cura.
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