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Il 5 per mille è in crescita, ma lo Stato lo vuole per sé

Sfondato il tetto dei 500 milioni di euro. Il volontariato: lasciateceli tutti. Tommasini (Csv): «Sono fondi preziosi che i contribuenti vogliono dare a noi» 

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Il 5 per mille è in crescita, ma lo Stato lo vuole per sé

Un’impennata di generosità che rischia di essere erosa. Nel 2017 gli italiani hanno scelto di destinare il 5 per mille delle loro imposte ad associazioni, onlus, ong ed enti di ricerca, superando il tetto dei 500 milioni di euro previsti dalla legge. Quell’in più ora però rischia di restare nelle casse dello Stato ed essere usato per altri scopi. Ecco perché le tante realtà che usano questi fondi per dare servizi ai più deboli chiedono di non vanificare le volontà espresse dai cittadini con la dichiarazione dei redditi.

«Ilsuperamento del tetto dei 500 milioni è un bel segnale di questo Paese, un dato positivo che indica la disponibilità dei cittadini verso il Terzo Settore – sottolinea Chiara Tommasini, presidente del Centro di servizio per il volontariato di Verona –. Ma è necessario aumentare il fondo: gli analisti stimano almeno 20 o 50 milioni di euro in più. L’impegno è stato preso direttamente dal governo, consapevole della necessità di innalzare le risorse per il 5 per mille, ma si tratta di una decisione che coinvolge anche Mef e Agenzia delle Entrate. E molto dipenderà dalle disponibilità finanziarie».

A Verona, dove si contano oltre 400 realtà iscritte al Csv, si guarda con attesa alle decisioni romane. «Chiaro che nei momenti di difficoltà generalizzata far venir meno risorse a uno dei settori più vitali e cruciali della società civile non è un bel messaggio. Attendiamo, con fiducia», dice la presidente. 

Il 5 per mille si traduce in servizi, progettualità e investimenti per il mondo del volontariato. Rappresenta un’indubbia boccata d’ossigeno. Cosa accadrebbe se venisse ridotto? «Immaginiamo per un attimo che scompaiano tutti coloro che prestano assistenza gratuita negli ospedali, che trasportano gli anziani alle visite mediche, che fanno gli animatori nei campi scuola parrocchiali, che cucinano alle sagre, che intervengono con la protezione civile durante le calamità, che danno famiglia a chi non ce l’ha, che tengono aperti i centri di aggregazione, che sostengono i malati terminali, che insegnano l’italiano a chi non lo parla… Non è difficile ipotizzare conseguenze nefaste per milioni di italiani, soprattutto i più fragili e meno tutelati». 

Il 67% delle scelte del 5 per mille va alle associazioni onlus (organizzazioni non lucrative di utilità sociale), segno che è ancora grande la fiducia riposta nel mondo del volontariato. «Il 5 per mille è cresciuto esponenzialmente negli ultimi 13 anni: oltre a essere un canale importante, è una scelta politica e sociale con cui i cittadini segnalano ciò che è meglio fare per risolvere un determinato problema – evidenzia Tommasini –. Inoltre, è un meccanismo che richiede una rendicontazione trasparente e una comunicazione efficace per farsi conoscere: ha stimolato le associazioni nella loro attività di promozione sul territorio e le ha senz’altro aiutate a evolversi».  

Sul tavolo, tra i nodi da sciogliere, c’è anche quello del 5 per mille “inoptato”, cioè non espressamente assegnato. «È una cifra che va dal 10 al 15% del totale ed è ridistribuita a favore dei più grandi (un terzo del totale), ma potrebbe essere invece utilizzata per sostenere i più piccoli – aggiunge la presidente –. E poi c’è il problema dei fondi residui: nel caso di soggetti che cessano l’attività, le risorse a loro destinate vanno a finire nel residuo passivo e tornano nel bilancio generale dello Stato. Bisogna pensare a come orientare questi fondi rispetto all’intenzione dei contribuenti». 

Tommasini è pure vicepresidente della rete dei Csv italiani. Che aria tira a Roma per il Terzo Settore? «È una bella domanda. Tra Codice e Impresa sociale ci sono oltre 40 atti che devono essere prodotti e siamo ancora a meno della metà – riferisce –. Tra i più importanti, oltre al Registro Unico, possiamo ricordare quello relativo alla definizione delle cosiddette attività secondarie, che è stato già approvato dalla cabina di regia. È importantissimo perché riguarda il modo in cui si autofinanzia la gran parte degli enti di Terzo Settore. Poi c’è tutta la parte fiscale, sulla quale si è ancora lontani. Tutte queste istanze devono trovare delle risposte. L’attenzione della politica a parole c’è, ma va concretizzata in atti concreti. Questo chiediamo».

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