I vent’anni di una casa che accoglie il bisogno a Braccia Aperte
di FRANCESCO OLIBONI
Opera segno di Caritas promossa da mons. Carraro
di FRANCESCO OLIBONI
Correva l’anno 2002: nasceva nel cuore di Verona la comunità di accoglienza Casa Braccia Aperte, opera segno di Caritas diocesana veronese, voluta e sostenuta dal vescovo di allora, mons. Flavio Roberto Carraro, e aperta concretamente da don Giovanni Biondaro, suor Raimonda e la comunità di suore orsoline.
Casa Braccia Aperte oggi è una casa volutamente bella, per essere accogliente per le persone che la abitano, ed è una struttura di seconda accoglienza a favore di donne maggiorenni con figli minori. Il punto di forza è proprio la presenza della comunità religiosa, che ha cura della struttura, della gestione economica della casa, del sostegno alle mamme e che svolge una funzione educativa nei confronti dei bambini creando un ambiente familiare. Le sorelle sono affiancate da volontari e da due operatrici professioniste: una psicologa e un’educatrice.
Oltre all’accompagnamento alla mamma, vengono organizzate per i figli attività extra-scolastiche grazie anche al prezioso supporto di volontari e di giovani in servizio civile. La struttura fino ad oggi ha accolto 77 mamme con 111 minori di diversa religione, nazionalità e cultura. «Venti anni di progetto sono un traguardo significativo – racconta suor Chiara Aloisi, responsabile della struttura e della comunità di cinque suore che la compongono attualmente –. Il nome è la sua missione: braccia, perché si lavora, partendo dall’abbraccio, dall’accoglienza fino a ricostruire una vita e riprendere il largo. Aperte perché è un luogo di passaggio: da qui le mamme e i loro figli fanno un pezzetto di strada e poi ripartono, sapendo che possono sempre tornare e ritrovare accoglienza e fiducia».
– Com’è composta la struttura?
«Complessivamente la casa, che si trova a Verona e fa parte del coordinamento Rete Donna, è composta da sei appartamenti con alcuni spazi comuni. Le donne rimangono nella casa insieme ai figli per periodi da 6 a 24 mesi, a seconda del progetto di ciascuna».
– E quali obiettivi vengono fissati per ogni mamma che la vive?
«Le nostre attività sono rivolte alla valorizzazione della persona e della famiglia come nucleo fondamentale della società. L’obiettivo, nel periodo di permanenza, è aiutare le donne a fare leva sulle proprie risorse e capacità, in un percorso che punta a favorire l’accesso autonomo alla casa, al lavoro, alla gestione dei figli e, soprattutto, del proprio futuro».
– Come vengono individuate le famiglie che entrano nel progetto?
«I nuclei familiari sono stati inseriti tramite progetti con i servizi sociali territoriali e la nostra équipe lavora in stretto contatto con quest’ultimi, il tutto in funzione dell’autonomia delle mamme».
In occasione del ventesimo anniversario si è svolto un momento di ringraziamento con una Messa, celebrata dal vescovo mons. Giuseppe Zenti, a cui ha fatto seguito un momento di convivialità dedicato alle donne e figli accolti in questi anni, volontari, operatori e a tutte le persone che hanno sostenuto questa realtà. Circa centocinquanta persone che negli anni hanno dato vita a questo progetto. Inoltre, dopo la celebrazione, alcune mamme, bambini e famiglie volontarie che hanno vissuto la casa, hanno lasciato una breve testimonianza sul valore che ha avuto Braccia Aperte per loro. «È stato un momento toccante – continua suor Chiara – dove si è capito che il ventennale della casa è stato proprio un’occasione per stare insieme, per re-incontrarsi, un tuffo nelle relazioni dopo tanti anni, per vedere i cammini di ciascuno». Un pensiero finale rivolto a...: «Ad ogni volontario e benefattore, alle operatrici, a chi ha fatto nascere quest’opera, ai vescovi, alle suore orsoline, ai servizi sociali e ai direttori della Caritas che hanno creduto e hanno scommesso sulle potenzialità di questa casa. Un grazie enorme va a suor Raimonda e suor Sonia, che negli anni sono state, assieme alle altre sorelle, il volto materno di questa casa. Un pensiero alle mamme, ragazzi e ragazze che qui sono cresciuti e hanno creduto al futuro. E un ultimo ma fondamentale grazie va al Signore, che ha sapientemente composto e comporrà continuamente questo meraviglioso e fantasioso puzzle», conclude suor Chiara.
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