Grandi manovre, grandi banche
La via del gigantismo è spinta anche da una situazione che perdura da tempo, e che durerà a lungo: i tassi a zero
Si torna a parlare di risiko bancario, di fusioni e di acquisizioni, di alleanze e accordi vari: dopo un periodo assai difficile e zeppo di crediti insoluti, il sistema italiano si sta muovendo grazie anche a una scossa tellurica di ottavo grado. Intesa San Paolo – insomma la prima banca italiana – ha proposto di acquistare la lombarda Ubi Banca, un istituto di medie dimensioni ubicato in una delle zone più ricche e dinamiche d’Italia. Vedremo come finirà: si creerebbe un gigante nazionale del credito in un contesto comunque assai affollato di insegne e sportelli.
Tra banche classiche, emanazioni di assicurazioni, istituti di mediocredito, internet bank e credito cooperativo, non siamo di fronte a un deserto. Ma la riforma delle Popolari avviata dall’allora governo Renzi, alcuni scandali e qualche fusione stanno riducendo la platea. Sicuramente si stanno riducendo gli sportelli fisici, incalzati da un’internet banking che sta diventando il canale principale di contatto tra clienti e istituti.
La via del gigantismo è spinta anche da una situazione che perdura da tempo, e che durerà a lungo: i tassi a zero. La Bce inietta da anni liquidità gratis nel sistema economico, per vedere se si riprende. Il sistema non è crollato, ma non si è ripreso: l’epoca dei tassi a zero sarebbe al tramonto, se non fosse che alzarli gelerebbe ancor di più investimenti che sono fermi al palo. L’Europa di fatto stagna.
E come possono allora guadagnare le banche, che vivono di intermediazione di denaro? Seguite il ragionamento matematico. Ricavare un 2 per cento da un miliardo di euro affidato, consente un margine di 20 milioni di euro: difficile stare in piedi. Se invece le masse intermediate sono 100 volte superiori, i 2 miliardi si fanno più interessanti. Abbiamo semplificato molto, le fonti di guadagno delle banche sono anche altre; ma rimane un problema che è sentito da qualsiasi istituto europeo.
D’altro canto, le banche stanno cambiando rapidamente pelle. Espellono la forza lavoro più anziana, meno motivata, meno propensa al cambiamento, più legata al vecchio modo di far banca; per assumere giovani (comunque in quantità minore) che mai vedranno uno sportello, ma che sanno nuotare nella fintech (tecnofinanza) come pesci nell’acqua.
Infine un “riposa in pace” al legame territoriale, ormai mantenuto solo dagli istituti di credito cooperativo. La banca può essere nata a Bergamo, Verona, Torino, Bologna (quelle meridionali non esistono praticamente più); gli azionisti, insomma chi comanda non ha alcun legame territoriale con l’insegna ma solo con il conto economico. Non è la stessa cosa.
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