Anziani e paure: bussare alle porte non funziona più
Secondo i volontari della San Vincenzo bisogna trovare altre strade
Nella prima metà dell’800 il beato Antonio Federico Ozanam, primo fra i fondatori della Società San Vincenzo De’ Paoli, andava a trovare i poveri nelle soffitte parigine; oggi, invece, i volontari che agiscono nel solco del suo carisma fanno sempre più fatica a entrare nelle abitazioni di chi è in difficoltà. L’impegno è rimasto lo stesso – promuovere la dignità della persona, intervenendo nelle situazioni di bisogno e di emarginazione sociale – ma le modalità si sono adeguate ai tempi, con le visite domiciliari che si sono via via rarefatte.
«Purtroppo è così – conferma Franca Erlo, vicepresidente della Società veronese, capofila dei 54 gruppi caritativi presenti in diocesi –. Noi esistiamo a Verona dal 1873 e fino agli anni Ottanta del secolo scorso andavamo massicciamente nelle case a far visita ai poveri. Negli ultimi decenni, però, è diventato più difficile approcciare le persone, soprattutto quelle anziane, restie ad accogliere visitatori tra le mura domestiche».
Sono soprattutto coloro che vivono in solitudine a diffidare maggiormente quando sentono bussare o suonare il campanello. Una precauzione spesso adottata in buona fede, seguendo la raccomandazione di non aprire agli sconosciuti e di stare in guardia da possibili truffatori. Questo però ha comportato una crescente difficoltà a intercettare le situazioni di disagio da parte di chi ha intenti caritatevoli. «In generale, osserviamo che ora entrare nelle case richiede percorsi molto lunghi, perciò proviamo ad adottare delle strategie alternative, in base al territorio in cui ci troviamo e alle nostre forze – spiega la referente –. Ad esempio, ci incontriamo al parco oppure al bar, luoghi neutri che aiutano a uscire allo scoperto soprattutto chi ha situazioni familiari complesse. Vediamo poi che se da un lato c’è l’ostacolo di aprire la porta di casa, dall’altro c’è un estremo bisogno di aiuto: emerge non appena si riesce a instaurare un rapporto di confidenza».
L’importante è continuare ad “andare verso”, ripetono i volontari. Sono 540 i soci della San Vincenzo sparsi fra città e provincia, aiutati da un altro centinaio di volonterosi che danno una mano all’occorrenza. «Ogni quartiere e ogni parrocchia hanno utenti differenti e quindi bisogni differenti – prosegue Erlo –. Molte conferenze gestiscono un centro di ascolto in parrocchia e lì bussano le persone bisognose: italiani, stranieri, famiglie con minori; anche qualche anziano, ma talvolta siamo noi a intercettarli, accompagnandoli a fare la spesa». Le richieste più frequenti? «Pagamento di bollette, affitto, alimenti: per il cibo rimandiamo agli Empori della solidarietà, di cui facciamo parte con la Rete Talenti; poi ci sono anche povertà morali e psicologiche, per le quali ci si attiva diversamente», risponde la referente.
Episodi di barbonismo domestico la San Vincenzo finora non ne ha rilevati. «Ma è difficile dire se un anziano non ci lascia entrare in casa perché vive questo disagio e si vergogna – ammette Erlo –. C’è da dire che in centro storico e nella prima periferia cittadina la povertà materiale è meno diffusa, ma c’è più solitudine. Io faccio parte della conferenza di San Pietro Apostolo in Borgo Trento, zona in cui ci sono molte vedove sole o con badanti; più che chiedere di andare a trovarle, è più facile proporre loro di uscire, invitandole a frequentare attività di socializzazione in parrocchia, come avviene il mercoledì pomeriggio con l’apporto dell’associazione Abitare Borgo Trento». Ogni anno sono fra i settemila e gli ottomila gli assistiti della San Vincenzo nel capoluogo e in provincia. La Società ha pure una casa di accoglienza per uomini senza fissa dimora in città e un’altra a Legnago; ha conferenze che organizzano doposcuola o recuperano il cibo avanzato dalle mense e altre che offrono servizi di guardaroba (persino alla Casa circondariale di Montorio). «Gli indigenti non sono più quelli di trent’anni fa e le nuove povertà hanno tante sfaccettature – conclude la referente –. Noi volontari cerchiamo di aggiornarci e di tenere alta l’attenzione: nei limiti di quello che possiamo fare, ci siamo sempre».
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