A San Bernardino l'ospitalità è di casa
di FRANCESCA SAGLIMBENI
Una mensa per pasti caldi ma anche igiene e vestiti di ricambio per chi chiede un aiuto
di FRANCESCA SAGLIMBENI
Frutta di stagione – una succosa arancia e un’invitante mela – già disposti sul tavolo per il fine pasto, insieme a un panino dall’aria fragrante, si intonano con le tinte calde degli arredi un po’ come dentro un’opera d’arte. Mentre i quadri alle pareti e le librerie collocate nel soppalco ricreato sotto il tetto con travi a vista, conferiscono all’ambiente un tocco di classe e al contempo di modernità. Perché l’accoglienza passa anche attraverso il decoro.
Che ospiti sarebbero, sennò, quelli che ogni giorno, dal lunedì al sabato, accedono alla storica mensa di San Bernardino per trovare ristoro e, con esso, l’occasione togliersi per qualche ora dalla strada o dagli alloggi di fortuna imposti loro da un destino di fame, indigenza, abbandono e solitudine?
Quando arrivo in via Saffi, nel convento dei frati minori, ad attendermi per farmi da guida in questa quarta tappa del nostro tour nelle mense solidali della città, c’è fra’ Francesco Velluto. Tiene sotto controllo l’orologio per esser certo che, scattate le 10.50 (ora in cui si serve il pranzo), tutto e tutti siano al proprio posto. Poi mi accompagna velocemente a vedere sia la cucina in cui si prepara da mangiare per i bisognosi (e dove mi offre un ottimo caffè), sia quella adibita all’impiattamento delle portate (un primo, un secondo con contorno e dolce), di cui si occupa un nutrito gruppo di uomini e donne di buona volontà.
Manca davvero una manciata di minuti all’arrivo dei commensali, in prevalenza di nazionalità straniera). Al cospetto di questo brulichio di volontari delle più varie età, intenti a fare le razioni giuste e a riporre sul carrello i pasti da distribuire nell’attigua sala (la stessa delle colazioni), ci si sente quasi di troppo.
Si vorrebbe fare qualcosa. Rendersi in qualche modo utili. Ma la truppa è già ben organizzata. Operosità, coordinamento ed entusiasmo contagiano chiunque li veda in azione. A motivarli nel servizio ci sono ragioni talvolta diverse, da persona a persona. Certo è che, ad accomunare tutti, sono un’autentica generosità e un profondo senso di fratellanza.
Paola, ad esempio, è sì qui per abbondanza di tempo (in questo periodo, purtroppo, non ha una occupazione), ma se in otto anni ancora non si è data alla fuga, è proprio perché «a prescindere dal servizio per cui si dà disponibilità, è sempre un’esperienza profonda», dice. Ha iniziato dalle “ultime fila”, per poi arrivare a cimentarsi anche nelle necessità della prima linea, a contatto diretto con gli ospiti. «Ora mi occupo del guardaroba, consegno gli indumenti intimi (uno slip, una maglia, un paio di calze) occorrenti per il post doccia». Il passaggio di mano è celere, ma abbastanza duraturo da consentire di instaurare una relazione. «A volte, un sorriso o uno sguardo è il loro modo di dirci grazie».
Ricevere della biancheria pulita li rende felici. Li fa sentire persone a tutti gli effetti. Ancor più se possono scegliere la tinta del cambio. «Qualcuno ci chiede se al posto del bianco possono avere quello rosso o nero. E quando possiamo, lo accontentiamo», continua Paola, testimoniando come la vita da volontario presso San Bernardino – in cui si alternano un centinaio di persone – si sia nel tempo trasformato in un’occasione di amicizia, da coltivare pure al di fuori della struttura. Nei paraggi del guardaroba, sempre nell’area di ingresso, ci sono altresì una postazione stile reception, da cui viene distribuito cibo da asporto. Per chi, ad esempio, trova più pratico portarsi il cestino sul luogo di lavoro; o per chi, la sera, non può recarsi in una delle mense che offrono la cena). C’è una stanza in cui, a seconda dei giorni, sono attivi un centro d’ascolto e i Medici per la pace.
«Quattro giorni alla settimana, un gruppo di massimo 30 persone può venire a fare la doccia su prenotazione», ricorda fra’ Francesco. Sia la biancheria che altri prodotti per la cura della persona (schiuma da barba, sapone) «provengono innanzitutto dalla Provvidenza». E quindi: «O dalle donazioni di privati, che possono consegnarci intimo anche usato, purché in buono stato e pulito. O da aziende produttrici del territorio».
Gli occhi incrociati durante il pranzo, preceduto sempre da una preghiera che, pur essendo di culture varie, i commensali seguono di buon grado probabilmente come parte integrante della stessa accoglienza, sembrano non di rado persi nel vuoto. Oltre alle ferite di una vita ai margini, infatti, gran parte di chi bussa alla porta di via Saffi, ha con sé profondi disagi e sofferenze anche mentali. «Alcuni giorni li dedichiamo dunque al rapporto umano, che spesso nutre e sana più del cibo. E all’occorrenza ci affidiamo a figure specialistiche come Laetitia, operatrice socio-assistenziale», dice il nostro frate guida. Una volta rifocillati, però, sono tutti più propensi a socializzare. Lo fanno nell’ampio cortile di ingresso: uno spazio polifunzionale, dotato di funghi di riscaldamento. Da qui si accede ai servizi igienici, alle docce e alla lavanderia, dove c’è chi non vede l’ora di inforcare la bicicletta parcheggiata nell’apposita rastrelliera, e chi, invece, preferisce intrattenersi ancora un po’. Talvolta con gli stessi volontari impegnati nel lavaggio degli asciugamani o nell’igienizzazione delle toilette. «Lavatrice e asciugatrice possono essere utilizzati anche dagli ospiti, su prenotazione», dice Alessandro, intento a stendere il bucato. «Umanamente ricevi sempre qualcosa, anche da dove non ti aspetteresti», aggiunge Renato.
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