Lavarsi le mani d’ora in poi sarà molto più di un gesto pilatesco
La data del 5 maggio suona per molte persone come una sorta di campanello d’allarme. Per alcuni segnala la vanità della gloria umana: nel 1821 Napoleone morì esule e in circostanze mai del tutto chiarite...
La data del 5 maggio suona per molte persone come una sorta di campanello d’allarme. Per alcuni segnala la vanità della gloria umana: nel 1821 Napoleone morì esule e in circostanze mai del tutto chiarite. Per tante altre – soprattutto appassionate di calcio – richiama come non si può mai essere certi di nulla (detta alla Giovanni Trapattoni: “Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”); infatti nell’ultima domenica del campionato 2001-2002 l’Inter perse uno scudetto tanto atteso e che era dato già per vinto, mentre l’Hellas Verona fu sconfitto a Piacenza retrocedendo dopo che per mesi aveva sognato le Coppe europee. Da alcuni anni, poi, il 5 maggio vorrebbe essere anche un forte richiamo all’igiene a partire dalla Giornata mondiale per la pulizia delle mani a cui arriviamo, questa volta, con una diversa consapevolezza. Fino a pochi anni fa «lavati le mani!» era “solo” il ritornello con cui i genitori intervallavano le giornate dei bambini, salvo poi farsi un punto di emancipazione diventando più grandi.
Eppure, l’Organizzazione Mondiale della Sanità da tempi non sospetti continuava a richiamare l’eccessivo numero di infezioni trasmesse – anche in ambito ospedaliero e di cura – per la non abitudine a questo gesto così semplice da fare e così difficile da rendere prassi. La stima diffusa nel 2019 è che l’igiene delle mani potrebbe salvare ogni anno 8 milioni di vite solo negli ospedali, e che se l’80% degli operatori sanitari rispettasse questa indicazione, si dimezzerebbe il rischio di infezione da batteri resistenti agli antibiotici.
In Italia – veniva segnalato – il 4,6% delle infezioni era legato a terapie mediche fatte in condizioni non igieniche. Probabilmente molti di noi non hanno mai dato peso a tali dati né a questa Giornata. Il Covid-19 ci ha resi attenti a questo gesto d’igiene e ci invoglierà ad una abitudine che prima consideravamo forse esagerata e associavamo solo a persone affette da disturbi ossessivi compulsivi o darupofobia (esagerata paura dello sporco).
Questa pandemia, anche con tutti i suoi effetti sociali ed economici, ci ha fatti pure coscienti di come ogni nostro comportamento – in ogni ambito e perfino il più semplice – influisca sulla vita degli altri. Edward Lorenz nel 1962, per spiegare l’imprevedibilità insita nelle sue specializzazioni (matematica e meteorologia) diceva che bastava un solo battito delle ali di un gabbiano per un’alterazione – anche perenne – del clima; successivamente cambiò metafora e fece entrare nella discussione mondiale il cosiddetto “effetto farfalla”, che altri però associano ai racconti fantascientifici di Ray Bradbury.
Più o meno negli stessi anni il monaco Thomas Merton diceva: «I grandi risultati non stanno in vostro potere e, tuttavia, potrebbero realizzarsi all’improvviso e noi possiamo dare il nostro contributo». Come, per esempio, con il “lavarsi le mani” in ogni occasione di rischio igienico e il “non lavarsi le mani” – in maniera pilatesca – davanti ai bisogni e ai drammi degli altri.
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