L’esperanto, quel linguaggio universale che parla di dialogo e di pace
Domenica 15 dicembre è il 160° anniversario dalla nascita di Ludwik Lejzer Zamenhof (1859-1917), famoso soprattutto per aver inventato la lingua universale dell’esperanto. Per questo il 15 dicembre è il Zamenhofa Tago ovvero il Giorno di Zamenhof, ma dato che la celebrazione di un singolo uomo è contro la cultura esperantista, è anche vissuto come Giorno dell’Esperanto...
Domenica 15 dicembre è il 160° anniversario dalla nascita di Ludwik Lejzer Zamenhof (1859-1917), famoso soprattutto per aver inventato la lingua universale dell’esperanto. Per questo il 15 dicembre è il Zamenhofa Tago ovvero il Giorno di Zamenhof, ma dato che la celebrazione di un singolo uomo è contro la cultura esperantista, è anche vissuto come Giorno dell’Esperanto.
Nato in una città della attuale Polonia nord-orientale da una famiglia di ebrei lituani, Zamenhof visse i suoi anni di formazione tra Varsavia, Mosca e Vienna.
Grande appassionato di lingue artificiali, si fece aggiungere il nome Ludwik, in onore di Francis Lodwick (1619-1694), che aveva tentato di costruire una lingua perfetta e un alfabeto universale. Per le sue origini e i suoi studi Zamenhof conosceva il russo, il polacco, il francese, l’inglese, il greco antico, il latino, oltre che un po’ d’italiano, yiddish ed ebraico.
Convinto che le divisioni umane e le guerre avessero come causa principale la diversità linguistica, propose una lingua unica. A suo parere non potevano essere il latino e il greco (troppo difficili e arcaiche) né arbitrariamente designare un idioma nazionale. La sola via gli sembrava la pianificazione di una lingua nuova.
La sua prima versione fu presentata agli amici in occasione della festa per il suo diciannovesimo compleanno (17 dicembre 1878). Il 26 luglio 1887, dopo anni di perfezionamento, pubblicò Unua Libro, con lo pseudonimo di Dottor Esperanto (ovvero colui che spera) che diede il nome a questa “lingua ausiliaria universale”. Sia le regole grammaticali che i vocaboli sono stati scelti da idiomi preesistenti, con l’attenzione di non inserire eccezioni, di minimizzare le ambiguità e di garantire la massima espressività; per questo risulta facile da imparare e ha grande efficacia comunicativa.
La sua intuizione e gli sforzi – fisici, intellettuali, economici – che prodigò per questo strumento di conciliazione, gli valsero più volte la candidatura al premio Nobel per la pace. Morì il 14 aprile 1917, a soli 57 anni, sfinito dal lavoro e dai colpi che la Grande Guerra aveva inferto al suo ideale. Gli fu almeno risparmiato di vedere i tre figli uccisi dall’odio nazista.
Il fatto che non si trattasse di una sua operazione personale, ma che fin da subito coinvolgesse una comunità, garantì la diffusione dell’esperanto anche dopo la sua morte. Nonostante lui si dichiarasse apertamente ateo e volesse tenere la sua lingua fuori da ogni valenza religiosa, ebbe grande successo pure in ambienti ecclesiali.
Tra gli appassionati e promotori vi furono anche alcuni sacerdoti veronesi, senza dimenticare alcuni importanti stimatori come i pontefici Pio X, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II.
Si ritiene che oggi ci siano esperantofoni in almeno 120 Paesi nel mondo. La forza iniziale sembra venir meno, ma non il desiderio iscritto nel profondo dell’uomo di unità vera (non uniformità o sottomissione al forte), che attende nuove proposte concrete da qualche giovane sognatore.
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