Conservare i frutti della nostra cultura per salvaguardare un tesoro per l’umanità
Nel primo capitolo della serie The giver (libro del 1993 e film nel 2014) si afferma che le memorie sono allo stesso tempo un peso e un tesoro; la storia reale ne dà prova in tante tensioni tra il custodire o il distruggere tutto quanto richiama il passato.
Nel primo capitolo della serie The giver (libro del 1993 e film nel 2014) si afferma che le memorie sono allo stesso tempo un peso e un tesoro; la storia reale ne dà prova in tante tensioni tra il custodire o il distruggere tutto quanto richiama il passato.
In questo filone si inserisce la Giornata mondiale del patrimonio audiovisivo (27 ottobre) istituita dall’Unesco nel 2006 per incoraggiare istituzioni e associazioni a conservare e rendere pubbliche le proprie collezioni. Appare evidente, infatti, che le principali memorie del XX e XXI secolo sono raccolte in film, trasmissioni radio/televisive, registrazioni audio/video, con il vantaggio di una fruizione immediata e facilitata (al li là di lingua, cultura, livello di istruzione, ecc.), ma con lo svantaggio di una grande vulnerabilità. Per loro i nemici non sono dittatori o terroristi, ma fattori tecnici, socio-politici o finanziari, come la mancanza di risorse, competenze, interesse e strutture. Migliori alleati sono invece quelle migliaia di archivisti e bibliotecari che si prendono cura di queste collezioni, con grande dedizione e una competenza sempre più raffinata.
In questo scontro gli esperti dicono che gran parte del patrimonio audiovisivo sia già andato irrimediabilmente perduto, con il rischio che la cosa si allarghi a tutto ciò che in 10-15 anni non sarà convertito in digitale. La questione è molto più decisiva di quello che si potrebbe pensare a un primo impatto, dato che si tratta di quell’insieme di pietre preziose che hanno divertito, formato, accompagnato, incuriosito intere generazioni: un grande tesoro che ha costruito le identità dei singoli e delle società, anche scardinando pregiudizi e ideologie.
A far da riferimento a questo progetto di custodia sono varie Raccomandazioni adottate dall’Unesco in questi anni, in particolare quella per la salvaguardia e la conservazione delle immagini in movimento (1980) e per la conservazione e l’accesso al patrimonio documentario, anche digitale (2015). In mezzo, pure il lancio del Programma Memoria del mondo (1993), fortemente voluto dopo la distruzione deliberata della Biblioteca nazionale di Sarajevo, che ospitava 1,5 milioni di volumi e più di 155mila libri rari e manoscritti. Nella notte tra il 25 e il 26 agosto 1992, durante l’assedio della città, fu bombardata dall’esercito serbo-bosniaco; per tre giorni le fiamme rimasero alte e divennero lo scenario di una singolare battaglia ripresa da fotografi e cameraman: da una parte decine di vigili del fuoco, bibliotecari e volontari che cercavano di mettere in salvo i libri e dall’altra esercito e cecchini che sparavano. L’esito fu la devastazione di gran parte dell’edificio, la perdita del 90% dei libri e la morte della trentunenne Aida Buturović, colpita da una scheggia di granata nel tentativo di custodire qualcosa di quel patrimonio culturale.
Per lei nemmeno una targa sull’edificio riaperto nel 2014, ma – per ora – rimangono almeno memorie audiovisive della sua vita e della sua morte.
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