Un docu-reality che infonde coraggio
Anche se non detto esplicitamente, il docu-reality I ragazzi del Bambino Gesù nasce sulla scia della seguitissima fiction Braccialetti rossi. Il successo mediatico di quella serie, infatti, ha portato alla ribalta la realtà difficile della malattia grave nel tempo dell’adolescenza.
Anche se non detto esplicitamente, il docu-reality I ragazzi del Bambino Gesù nasce sulla scia della seguitissima fiction Braccialetti rossi. Il successo mediatico di quella serie, infatti, ha portato alla ribalta la realtà difficile della malattia grave nel tempo dell’adolescenza. Patrocinato dal Ministero della Salute e dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, il programma prosegue nel rompere il tabù secondo il quale in tv alcuni temi sarebbero troppo insidiosi per essere raccontati senza incorrere in qualche incidente di percorso o infastidire la sensibilità di qualcuno. Il titolo, infatti, ispirato all’assoluta normalità, non riecheggia nulla che sia riconducibile al dolore o induca alla commiserazione. Le dieci storie di minorenni proposte senza ostentazione della sofferenza e senza vittimismo, mostrano in presa diretta la freschezza dell’età che si scontra violentemente con la delusione di sentirsi diversi rispetto ai propri coetanei e costringe a crescere in fretta per misurarsi con le grandi domande della vita.
Autrice di questo nuovo programma è Simona Ercolani, esperta nel trovare nuovi format per il piccolo schermo. Se la malattia, o comunque il dolore, è sempre capace di suscitare attenzione, quella dei ragazzi ha una forza attrattiva e un impatto emotivo di gran lunga più forte. I protagonisti con i loro ragionamenti, le persone loro vicine, medici compresi, con un’infinita serie di domande e perplessità, lasciano intuire che si può cercare e trovare un significato a ciò che immediatamente sembra proprio non averne. Con assoluta delicatezza e senza nascondere nulla, la telecamera raccoglie la vita quotidiana dei pazienti dell’ospedale romano per incoraggiare chi sta vivendo un’eguale situazione a non perdere la speranza. Non certo per vanagloria questi protagonisti hanno accettato di essere ripresi con un corpo debole e piagato, in una fase tanto delicata della loro vita, ma solo per lanciare il messaggio che se ce l’hanno fatta loro ad affrontare la malattia, tanti altri possono ripetere la loro esperienza. Poco importa sapere se qualche scena è stata rigirata perché venisse meglio o magari qualche sfumatura è stata accentuata a uso delle telecamere; a fare la differenza non è neppure il lieto fine, ma la convinzione che dinanzi alla malattia occorre davvero una straordinaria voglia di lottare. Sintonizzarsi su Rai 3 la domenica in seconda serata è certamente una scelta controcorrente.