Spiato in tv
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“A cena da me” con qualche piatto pesante

Dopo la bulimia televisiva di corsi e concorsi a suon di manicaretti, le cucine del piccolo schermo, abbandonate le luci della ribalta e gli chef stellati, diventano ora quelle della gente comune.
A cena da me, infatti, consiste in una cena tra le mura domestiche, preparativi compresi.

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“A cena da me” con qualche piatto pesante

Dopo la bulimia televisiva di corsi e concorsi a suon di manicaretti, le cucine del piccolo schermo, abbandonate le luci della ribalta e gli chef stellati, diventano ora quelle della gente comune.
A cena da me, infatti, consiste in una cena tra le mura domestiche, preparativi compresi. Ogni settimana cinque perfetti sconosciuti, scelti in modo assortito, s’invitano reciprocamente nelle proprie abitazioni per passar qualche ora insieme degustando ciò che il padrone di casa ha preparato personalmente per loro. Il cibo cucinato e consumato insieme riconquista così la giusta collocazione come strumento di comunicazione e dialogo tra le persone. Nell’ora in cui in tutte le case si sta preparando la cena e mentre sugli altri canali televisivi impazzano i quiz, La7 invece fa accomodare i telespettatori attorno a un tavolo apparecchiato. Le telecamere trasformano questo gesto in un racconto che in gran parte si avvale di quanto è detto da ciascuno all’insaputa degli altri, prima e dopo la cena. Il programma rimanda così, in alcuni dei suoi meccanismi, a Cortesia per gli ospiti già in onda su Real Time. Se lì erano tre personaggi esterni a dare un giudizio sulla serata, qui ciascun protagonista, terminato il pasto, è chiamato a esprimere un proprio parere sulla qualità della cena e dell’ospitalità ricevuta. Alla fine della settimana è poi proclamato il vincitore di questa speciale competizione per buongustai cortesi e accoglienti.
La trasmissione s’iscrive a buon diritto nel genere tv reality, senza però i toni accesi della polemica sterile e della cattiveria gratuita. Nel corso delle lunghe serate trascorse in compagnia, cresce la fraternità tra i commensali, sgravati ognuno per puntata dell’impegnativo compito di accogliere nel migliore dei modi questi nuovi compagni di avventura. I commenti della voce fuori campo sono però troppo acidi e tendenziosi, pronti a mettere in modo volutamente pesante e artificiale alla berlina gli ospiti, più che a presentarli per quello che sono. Resta inoltre l’amaro in bocca per tutte le parole dette alle spalle, i commenti sugli altri che non si ha il coraggio di pronunciare in faccia. Un’idea simpatica e fresca, già ampiamente usata in molte produzioni cinematografiche, si piega così in modo un po’ malvagio al meccanismo televisivo. Se i commensali recitano a soggetto il proprio ruolo, anche il cibo allora perde di sapore, la cucina diventa un palcoscenico e la sala da pranzo un’esibizione. Più che a cena da qualcuno si va in pasto ai telespettatori sempre affamati di piccole cattiverie e ghiotte confidenze rubate.

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