I quindici Lieder di Schönberg dopo 110 anni restano modernissimi
L’estate è l’occasione propizia per accostarsi a un capolavoro della musica novecentesca che richiede il giusto spazio mentale libero, approfittando del tempo festivo da dedicare all’edificazione di sé. Parliamo di un ciclo di Lieder (canzoni d’arte) che vide la luce esattamente 110 anni fa: Il libro dei giardini pensili (Das Buch der hängenden Gärten), intonato sulla serie poetica di Stefan George da Arnold Schönberg nel 1909.
L’estate è l’occasione propizia per accostarsi a un capolavoro della musica novecentesca che richiede il giusto spazio mentale libero, approfittando del tempo festivo da dedicare all’edificazione di sé. Parliamo di un ciclo di Lieder (canzoni d’arte) che vide la luce esattamente 110 anni fa: Il libro dei giardini pensili (Das Buch der hängenden Gärten), intonato sulla serie poetica di Stefan George da Arnold Schönberg nel 1909. Il capofila dell’innovazione musicale del XX secolo giunge alla prima definizione del suo nuovo linguaggio atonale con opere diverse e variamente riuscite, ma è soprattutto in questo ciclo che il Maestro giunge a una perfetta definizione del nuovo stile. Ed è grazie all’ascolto di quest’opera – mezz’ora densissima, la cui audizione è consigliabile ripetere più volte – che si può notare la metamorfosi poetica e culturale che porta l’arte dal dominio simbolista ottocentesco, all’espressionismo anche violento, allo straziato lirismo che caratterizza invece i primi anni del ’900.
Dal punto di vista tematico, Schönberg trae da George il motivo dell’Io lirico imprigionato nel proprio stesso desiderio, e lo deforma musicalmente fino a farlo diventare un monologo lancinante, dove la lingua poetica viene destrutturata dalla musica. L’evocazione di un paesaggio surreale, estraneo rispetto all’Io lirico, diviene in Schönberg l’occasione per creare effetti di sfondo pianistico di forte opposizione rispetto al canto: la prosodia viene alterata dal melos vocale, il metro viene disarticolato e infine annullato dal contrappunto pianistico. Ne nasce un flusso musicale instabile, oscillante, incerto, del tutto in sintonia con il gesto espressivo dei testi poetici, la cui declamazione è tendenzialmente uniforme, ritmicamente spianata, e gli accordi del pianoforte intervengono ad appoggiarsi all’inizio di ogni nuova parola, ciò che crea un’accentuazione inedita, che dona maggiore pregnanza alle singole parole, che vengono in certo qual modo “sospese”, come da titolo d’impianto.
Nelle quindici poesie sono utilizzate sistematicamente delle cellule musicali ricorrenti, che legano in un tutto organico l’intero ciclo, istituendo nuovi rapporti tra i versi, legati tra loro dalle corrispondenze acustiche. I primi otto Lieder, di carattere lirico-elegiaco (l’amore del poeta si rivela, si scontra con il mondo indifferente e con la risposta incerta dell’amata, per lasciarlo nella disperazione) sono strutturati sull’equa distribuzione tra il canto e lo strumento. Gli ultimi sette, di carattere contemplativo-meditativo, vedono un sensibile spostamento verso lo strumentale (si vedano le ampie introduzioni pianistiche). Soprattutto quest’ultimo aspetto muta il centro dell’attenzione dall’Io al Non-Io, per dirla in formula, vale a dire che l’azione e il pensiero vengono come sopraffatti dal pulsare profondo di un Altro-da-sé misterioso, che ne muove gesti, parole, azioni.
Così si compie la metamorfosi: l’armonia strumentale aspra e dissonante (il pianoforte) schiaccia la melodia sulla quale vengono intonate le parole poetiche. L’espressione oscura della musica si sostituisce alla solarità del canto, negandogli il primato nella percezione. L’uomo non è più al centro del mondo, ma viene mosso da qualcosa d’altro, di cui percepisce la forza ma che non può riconoscere con l’esperienza, in una scrittura di pathos violento, a tratti spettrale, a tratti dolentemente accorato, sempre estremo, congestionato, radicale. Modernissimo, anche a 110 anni di distanza.
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