Venezuela, tragedia che non trova soluzioni
Che fine ha fatto il Venezuela? A un anno di distanza dallo scoppio della crisi presidenziale, iniziata nel gennaio 2019, il Paese è sparito dai radar dell’opinione pubblica italiana. Eppure, secondo il quotidiano britannico Financial Times, una delle peggiori crisi umanitarie del mondo sta per peggiorare.
Che fine ha fatto il Venezuela? A un anno di distanza dallo scoppio della crisi presidenziale, iniziata nel gennaio 2019, il Paese è sparito dai radar dell’opinione pubblica italiana. Eppure, secondo il quotidiano britannico Financial Times, una delle peggiori crisi umanitarie del mondo sta per peggiorare.
Ogni giorno 3mila venezuelani lasciano la propria terra per cercare fortuna altrove: gli espatriati hanno ormai superato i quattro milioni e mezzo. L’economia del Paese, guidato dal presidente chavista Nicolas Maduro, è alle corde. Dopo il crollo della produzione petrolifera e l’iper inflazione, Caracas si regge quasi esclusivamente sul traffico illecito di droga, sugli aiuti internazionali e sulle rimesse dei venezuelani emigrati all’estero. Secondo gli analisti, dietro il protrarsi della crisi umanitaria si nasconde un unico colpevole: lo stallo politico.
Martedì scorso il leader dell’opposizione Juan Guaidò, nominato presidente ad interim dall’Assemblea nazionale, è tornato in Venezuela dopo un viaggio di 23 giorni in diversi Paesi del mondo, intrapreso nonostante il divieto di espatrio imposto da Maduro. Il politico 36enne ha incontrato alcuni tra i principali capi di Stato dell’Europa occidentale e del Nord America, da Emmanuel Macron a Justin Trudeau. Non è, però, riuscito a farsi ricevere dal presidente americano Trump, suo principale sostenitore, nel weekend in cui entrambi si trovavano a Miami, in Florida. Dietro il mancato incontro, gli esperti scorgono i dubbi dell’amministrazione Trump sulla tenuta del leader.
Negli ultimi mesi la strategia elaborata dall’ex consigliere per la Sicurezza nazionale, John Bolton, si è rivelata fallimentare: il sostegno totale a Guaidò, l’inasprimento delle sanzioni e l’attacco diretto a Maduro non hanno portato ai risultati attesi. Washington sperava di ottenere una “vittoria lampo” con l’insediamento di un governo amico che garantisse l’accesso agevolato alle risorse naturali e petrolifere del Paese e, allo stesso tempo, lo negasse a rivali come Cina e Russia. A distanza di un anno, però, il presidente del Venezuela è ancora saldamente al comando e può, nonostante tutto, contare su uno zoccolo duro di fedelissimi.
Il leader in carica è riuscito a screditare in parte Guaidò, presentandolo come marionetta nelle mani degli americani. D’altro canto, il giovane politico non è riuscito a imprimere la svolta che ci si attendeva. Il fallimento ha alimentato la frustrazione dell’amministrazione Trump, ora costretta a rivedere i propri piani.
Il tour all’estero di Guaidò appare, quindi, come l’ennesimo, disperato tentativo di ottenere un’investitura internazionale. Il tempo, però, stringe e l’epoca degli esperimenti è finita. Non solo per la crisi umanitaria, che peggiora giorno dopo giorno, ma anche per le elezioni politiche che si terranno nel 2020. Se le urne non sbloccheranno la situazione, l’unica soluzione sarà un negoziato a carte scoperte che, oltre ai due leader, dovrebbe coinvolgerebbe anche i loro sponsor internazionali: Stati Uniti da una parte, Russia e Cina dall’altra. Finché Washington, Mosca e Pechino non troveranno un accordo, la crisi continuerà e a pagare il conto più salato sarà il popolo venezuelano.
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