Chi subisce la sanzione?
di NICOLA SALVAGNIN
Uno strumento potente, che fa malino a chi le promuove, malissimo ai popoli che le subiscono
di NICOLA SALVAGNIN
Per amore di verità, diciamone una che non abbia altri fini: le sanzioni economiche lasciano il tempo che trovano. Sono uno strumento potente, che fa malino a chi le promuove, malissimo ai popoli che le subiscono, praticamente niente a quei dittatori o governi contro le quali è indirizzato. È prova provata: l’Iran è sotto sanzioni da molto tempo, e gli ayatollah sono sempre lì; il Venezuela paga una crisi umanitaria enorme, mentre Nicolas Maduro e la sua ghenga rimangono saldi al loro posto. In Corea del Nord siamo lì, non cambia nulla.
I cittadini russi col tempo sentiranno i morsi delle possenti sanzioni occidentali (mancherà quasi tutto: dalle attrezzature sanitarie ai ricambi per auto e aerei), ma sono governati dalla paura, non dal consenso. E chi fa loro paura, non ha paura di subire quel tipo di sanzioni.
Anche perché i “circuiti collaterali” per evitare l’infarto economico e sociale sono molti, e già attivi: si triangola economicamente con Paesi amici o non ostili come la Serbia, la Turchia, l’India; si può contare sull’appoggio della Cina, che non è certo un appoggio minuscolo. Infine si continua a fare affari con chi ti ha messo sotto sanzioni, visto che non smettiamo di comprare dalla Russia petrolio e gas.
Quindi le sanzioni non servono? No, al contrario, se si vuole rispondere ad un’aggressione militare senza usare i militari. Cioè se alle bombe si preferiscono i blocchi alle esportazioni. Anche perché in questo caso si passerebbe in un amen a quelle atomiche…
Ma: o le sanzioni strangolano immediatamente, o appartengono a quelle prassi che usiamo adottare per far vedere che “non la passeranno liscia”, che non bisogna oltrepassare quella linea rossa, che siamo vicini ai popoli che soffrono. In realtà sapevamo – e lo sapeva perfettamente Vladimir Putin – che i russi possono adattarsi a pane e cipolle, lo vogliano o meno; l’opinione pubblica occidentale invece non vuole né può rinunciare al proprio tenore di vita e al posto di lavoro per le sorti del Donbass.
Se le fosse imposto, alle prossime elezioni (perché qui c’è la democrazia e la libertà di voto) rischieremmo di avere come presidente del Consiglio il cugino di Putin
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