Un falso multiculturalismo per integrare gli stranieri
Si diceva un tempo che per distinguere l’ottimista dal pessimista basta metterli davanti a un bicchiere. Il primo vedrà quello che c’è, mentre il secondo quello che manca...
Si diceva un tempo che per distinguere l’ottimista dal pessimista basta metterli davanti a un bicchiere. Il primo vedrà quello che c’è, mentre il secondo quello che manca. Deve essere un grande ottimista il ministro della Pubblica Istruzione, Lorenzo Fioramonti. Una gestione, la sua, che in fatto di stelle ha solo quelle del partito di appartenenza. Per il resto, lo scenario sembra alquanto grigio. Ha criticato il governo precedente, come se lui venisse da un altro pianeta, ha proposto la tassazione delle merendine, ha scritto ai presidi di giustificare le assenze degli studenti quando fanno gli scioperi... Da un uomo abituato a guardare in faccia i problemi e da un buon ministro ci saremmo aspettati che vedesse anche quello che manca. Al Nord è stato nominato solo il 43% degli insegnanti, mancano quelli di sostegno, scuole che cadono a pezzi da mettere in sicurezza, situazione dei precari da regolarizzare, stipendi degli insegnanti, pagati come apprendisti al primo impiego... E invece? Invece niente di niente, quasi una rimozione inconscia, tanto per impedirsi di vedere. In compenso ha visto molto bene i crocifissi appesi nelle aule. Uno sberleffo al pluralismo religioso e culturale, secondo lui. Quindi... Quindi una carta geografica planetaria esprimerebbe molto meglio il senso di universalismo che dovrebbe ispirare una società complessa come la nostra. Povero. Gli sono piovuti addosso tanti di quegli improperi, che insistere è come sparare sulla Croce Rossa.
Ad attutirgli il colpo è arrivata però un’altra notizia, di diverso peso, ma nella stessa logica.
Chissà se il ministro Fioramonti avrà avuto modo di mettere le gambe sotto al tavolo con qualche rappresentante della Curia di San Petronio e insieme, in nome dell’universalismo fraterno, abbiano discusso anche sull’universalismo del tortellino. Ora anche in versione avicola per non offendere la sensibilità islamica. Un sussulto di finezza ecumenica. E ti domandi perché non ci abbiano pensato prima, magari per rispetto degli ebrei, che erano qui da sempre e pure loro non mangiano porco. Il fatto è che gli ebrei non hanno il petrolio e se tu non li tratti coi guanti non è che loro ti fanno gli attentati. E, poi, vuoi mettere la presenza numerica dei primi e quella dei secondi, nella logica non molto evangelica che anche tra le persone vige il primato della quantità? Nessuna ironia e nessun sarcasmo comunque, perché solo la malafede potrebbe non vedere la volontà di una iniziativa che è ispirata solo dalla volontà di stare insieme in armonia.
E allora perché associare i due casi, crocifissi e tortellini, si domanderà il lettore? Indubbiamente oltre le differenze è possibile anche cogliere anche una comunanza di ispirazione. Se è vero che togliere i crocifissi rappresenta una vecchia e logora frontiera anticlericale, che confonde la laicità col clericalismo, ignorando, o facendo finta di ignorare, che la storia dell’uomo morto in croce è il fondamento della nostra cultura e civiltà, è altrettanto vero che le due iniziative sembrano intercettare l’idea di una società ispirata al multiculturalismo, dove ogni sensibilità peculiare deve trovare ospitalità. Frontiera rischiosa, tant’è vero che oggi anche i più sensibili commentatori parlano di integrazione e non di multiculturalismo. Ribadire la nostra cultura e i nostri principi costituzionali non è arroganza ideologica, ma credere ai valori su cui poggiamo, evitando che il nostro futuro frani sul nulla del tutto si equivale.
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