Quando il dolore diventa spettacolo
Adesso che i dodici ragazzini tailandesi sono finalmente in salvo siamo tutti più felici. Felici per il buon esito di saperli al sicuro, felici per i giorni di emozioni che ci hanno regalato. Roba che, se solo potesse, la signora D’Urso andrebbe sul posto per regalarci parole fatate, piene di sentimento.
Adesso che i dodici ragazzini tailandesi sono finalmente in salvo siamo tutti più felici. Felici per il buon esito di saperli al sicuro, felici per i giorni di emozioni che ci hanno regalato. Roba che, se solo potesse, la signora D’Urso andrebbe sul posto per regalarci parole fatate, piene di sentimento. Saranno felici anche i politici al governo. In questi giorni Mario Draghi, presidente della Bce, è uscito dal suo solito compassato aplomb per dire, fuori dai denti, che di parole dall’Italia ne ha sentite tante e nuove, ma di fatti neppure l’ombra. Per fortuna che c’erano i “cinghialotti” tailandesi a occupare la scena, giusto per impedire che il fuocherello della polemica si trasformasse in roba da pompieri.
Adesso che i bambini sono tornati alle loro famiglie siamo tutti ansiosi di sapere quale menu ci consegnerà la programmazione televisiva per i prossimi giorni. C’è la finale dei mondiali di calcio, è vero, ma quella va a intercettare un segmento particolare della popolazione. E tutti gli altri? Vuoi mettere la drammaticità di dodici innocenti prigionieri nella pancia della terra? La verità è che la vicenda ci ha momentaneamente dato l’impressione d’essere attenti alle disgrazie del mondo. Ma purtroppo non è così.
Scrive Pietro Pisarra ne Il giardino delle delizie: “Inondati di immagini, storditi dal rumore, abbruttiti dalla volgarità e dalla banalità, anestetizzati da deodoranti e profumi, intontiti dai tranquillanti, ci siamo trovati, da un giorno all’altro, con una sfilza di protesi sofisticate (cellulari, palmari, microscopiche macchine fotografiche…) e sempre più insensibili: estranei al dolore del mondo e, tuttavia, pronti a versare una lacrima di compassione quando la morte si fa spettacolo”. Questo è stato il dramma tailandese, né più né meno. Uno spettacolo.
Ci sono tre romanzi che hanno anticipato profeticamente i nostri tempi. La Nausea di Sartre, Lo straniero di Camus e Gli indifferenti di Moravia. Racconti che partono da un vuoto d’anima, dal cui orizzonte è scomparso l’influsso evangelico. Ebbene è forse negli indifferenti che troviamo la fotografia anticipatrice del nostro tempo più realistica.
Potranno sembrare considerazioni dure, ingenerose. Ma la controprova è nel silenzio indisturbato con cui ogni giorno passiamo oltre ad altre morti, semplicemente perché lo spettacolo non ci regala emozioni. Penso ai bimbi finiti in fondo al mare, affondati con la speranza di chi sognava per loro un futuro migliore. Penso ai tanti bambini che non diventeranno mai grandi, per mancanza di cibo, d’acqua, o perché le condizioni igieniche non consentono di tutelarne la salute. Penso ai bambini abortiti ogni giorno. Per loro solo silenzio. Penso ai bambini che vivono dentro situazioni familiari di degrado, dove la morte morale avanza come una zizzania. Ma per queste morti senza spettacolo c’è soltanto indifferenza. Così purtroppo.
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