Il Fatto di Bruno Fasani
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Quando anche il professore è un maturo senza maturità

Succede talvolta nella vita che si invertano i ruoli, quelli consolidati dalla prassi, dalla natura e anche dal buon senso. Abbiamo visto figli diventare educatori dei loro genitori, ragazzi dimostrarsi più saggi degli adulti, laici che danno lezione di coerenza evangelica a preti “spettinati” e senza troppa credibilità. Ci mancavano gli alunni che educano i loro insegnanti.

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Succede talvolta nella vita che si invertano i ruoli, quelli consolidati dalla prassi, dalla natura e anche dal buon senso. Abbiamo visto figli diventare educatori dei loro genitori, ragazzi dimostrarsi più saggi degli adulti, laici che danno lezione di coerenza evangelica a preti “spettinati” e senza troppa credibilità. Ci mancavano gli alunni che educano i loro insegnanti.
È accaduto anche questo. A Pavia per l’esattezza.
Maestri e professori, si sa o si dovrebbe sapere, sono chiamati a due funzioni. La prima è quella di educare. Dal latino e-ducere che vuol dire tirare fuori, ossia l’arte di valorizzare il bello che uno ha dentro, scrostandolo dal grezzo che fa da contorno al diamante nascosto. La seconda è quella di istruire, dal latino in-struere, che vuol dire collocare dentro, stratificare il sapere, come patrimonio per la vita. Questa seconda responsabilità riguarda sia i contenuti da trasmettere, ma anche le modalità con cui farle entrare nella passione, prima che nella testa dello studente.
Chissà se il professore Carlo Gallarati era cosciente di questi doveri. Forse formalmente più che nella sostanza. A giorni avrebbe dovuto presiedere una commissione per valutare due classi di maturandi.
Maturità è parola importante. Oggi è diventata sinonimo di scoglio da superare durante l’iter scolastico. Ma prima di essere un voto su un diploma essa dovrebbe esprimere una qualità dell’animo. Essere maturi è qualcosa di profondo e dinamico, una conquista mai raggiunta, di cui i primi ad avere coscienza dovrebbero essere proprio coloro che hanno responsabilità educative.
Può succedere invece che anche tra loro si insinui una sorta di schizofrenia morale: adulti per  ruolo o per anagrafe, immaturi nei fatti. È accaduto anche al nostro professore, che continuiamo a chiamare così per via del titolo professionale. Nei giorni scorsi si è prodotto in alcuni tweet razzisti che non lasciano molti margini alla fantasia. Ve ne cito qualcuno: “Anch’io ho incontrato una risorsa – un negro sulla tangenziale ovest di Milano, che andava in bicicletta sulla corsia di emergenza in contromano. Spero lo abbiano travolto”. Poi, come un assetato di sangue straniero, continuava: “Bisogna girare con la pistola e quando uno ti aggredisce sparargli nei co...”. Ma non era ancora il massimo. Parlando della richiesta di asilo ad un gay immigrato, perché perseguitato nel suo Paese, così scriveva: “Per accertare se è vero lo metterei in una gabbia con un orango come nel film di Fantozzi”. Chapeau.
Questo è il professore che dovrebbe esaminare i maturandi, se non fosse che la maturità questa volta l’hanno dimostrata gli studenti, prima ancora di passare l’esame, segnalando il tutto al dirigente scolastico della città. Il quale ha sospeso immediatamente dall’incarico di commissario il docente. Un segnale. Importante, ma solo un segnale per ora. Perché sull’idoneità di questo uomo dovranno esprimersi non solo i vertici, ma anche le famiglie che affidano i loro figli a simili personaggi.
Consegnare la vita di un figlio nelle mani di un adulto è di per sé un atto di fiducia e una speranza. Ma non a qualsiasi condizione. L’orco non indossa sempre e solo i panni del pedofilo. Qualche volta anche quelli del cattivo maestro, capace di influenzare e compromettere per sempre il futuro, anche dei migliori.

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