Nel mondo dei media con il cervello e senso di responsabilità
Dire computer, tv, tablet, cellulare, iPhone, iPad... è comunemente inteso come sinonimo di media. Qualcuno, mentalmente cosmopolita, si compiace di chiamarli “midia”, all’inglese, dove appunto la “e” si pronuncia “i”...
Dire computer, tv, tablet, cellulare, iPhone, iPad... è comunemente inteso come sinonimo di media. Qualcuno, mentalmente cosmopolita, si compiace di chiamarli “midia”, all’inglese, dove appunto la “e” si pronuncia “i”.
Tornando ai media (plurale del latino mezzi), bisogna però ricordare che essi sono tutt’altro che mezzi. Come scriveva profeticamente Günther Anders, filosofo tedesco morto nel 1992, essi sono, nella realtà, un mondo. Per capire meglio questa differenza, bisogna ricordare che il mezzo è uno strumento di cui mi servo secondo le mie necessità occasionali. Abbiamo tutti in casa una cassetta di attrezzi, dove il martello, il trapano o il cacciavite diventano mezzi di cui mi servo all’occorrenza. Diverso è il discorso di quelli che noi chiamiamo impropriamente media, ossia mezzi.
Nelle nostre mani essi sono soltanto un piccolo segmento di una galassia della quale entriamo a far parte e fuori della quale ci sentiamo perduti. Quindi essi non sono più lo strumento con il quale io decido dove fare un foro, dove avvitare una vite, dove mettere un chiodo. Essi sono piuttosto il liquido amniotico entro cui siamo immersi collettivamente e dove qualcuno, in base a criteri politici, economici o culturali decide di quali sostanze nutrirci, per portarci a pensare, valutare e scegliere in base a precisi progetti.
La prima conseguenza di questa appartenenza globale è che oggi il primo condizionamento sulla nostra libertà è proprio l’impossibilità di rinunciare ad averli. Siamo alla loro indispensabilità, altro che la fede! Provate a dire a un ragazzo che il cellulare non serve, o che il computer è soltanto un optional, o che la televisione è una scatola di cui potremmo fare assolutamente a meno. Ne deriverebbe immediatamente un senso di frustrazione, di inadeguatezza, di isolamento sociale, con evidenti danni sul piano emotivo.
Una seconda conseguenza è l’inutilità della memoria. Non solo quella del passato, come comunemente la intendiamo, ma anche la memoria futura, intesa come capacità di progettare il domani a partire da scelte ragionate. Proprio perché l’intelligenza del mondo mediatico è ben più grande di quella dei singoli fruitori, non c’è bisogno della fatica delle nostre menti. È l’alveo del fiume informativo che sa dove andare, dove portarci, senza bisogno del nostro discernimento critico.
Oltretutto con l’intelligenza artificiale il gioco si farà ancora più evidente. Un acuto osservatore ha detto che essa determinerà la sparizione dei somari, intendendo per somari quelli che a scuola incontrano qualche difficoltà o mostrano scarsa propensione agli studi. Ragazzi che spesso diventavano nella vita fior di artigiani e spesso anche imprenditori di successo. In futuro basterà un’applicazione (che già esiste) per scrivere un articolo, un tema, una tesi scolastica in pochi secondi. Insomma, tutti dottori a prescindere. Tutto questo, dicevo, sta fortemente condizionando le capacità razionali delle persone. Mi faceva notare un amico che anche in televisione prevalgono ormai i quiz, come nell’esame della patente, dove non è richiesto un ragionamento, il soccorso dell’intelligenza, quanto la scelta tra ipotesi diverse. La risposta giusta è A, B o C? Sperando che la fortuna faccia il resto. Qualcuno penserà che voglia demonizzare i media. Certo che no. Con loro si gioca il presente e anche il futuro; ma giusto per non dimenticare che, sopra le spalle, abbiamo ancora una mente per vedere, pensare e discernere.
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