Quelle tecnologie da usare con intelligenza e cuore
di FRANCESCA SAGLIMBENI
Ci aiutano a trovare soluzioni a tanti problemi ma non alle domande esistenziali
di FRANCESCA SAGLIMBENI
Dove andare in vacanza, cosa fare nel weekend, quale libro leggere. «Alla tecnologia non chiediamo più di fare ciò che avevamo preventivamente già deciso, ma di decidere direttamente al posto nostro». E gli algoritmi lo fanno. Procurandoci una vita “senza pensieri”, per un verso, e foriera di ansia, per l’altro. È la doppia faccia dell’intelligenza artificiale, quel sistema di tecnologie al quale, una volta catturata la nostra fiducia, ci siamo abituati a delegare molte scelte del più comune quotidiano. Macchine che, per la prima volta, pretendono di fare – il più delle volte riuscendoci anche meglio di noi – cose che prima facevano solo gli esseri umani. Quale sfida per l’uomo in questo contesto ormai non più revocabile? Questa la domanda di fondo chiamata ad animare il dibattito “Il potere degli algoritmi. L’uomo e la sfida dell’intelligenza artificiale” tenutosi al recente Meeting di Rimini, che ha restituito non pochi spunti di riflessione. A partire dalle illuminate considerazioni di padre Paolo Benanti, docente alla Pontificia Università Gregoriana ed esperto di bioetica ed etica delle tecnologie, che prendendola alla lontana ha ricordato come nel mondo antico esistessero già due forme di intelligenza ben distinte: il nous, l’intelligenza che lavora per “capire”, e il metis, l’intelligenza che opera per “trovare soluzioni”.
«L’intelligenza artificiale oggi lavora proprio come quest’ultimo, è una forma di praticità in cerca di soluzioni – sottolinea Benanti –, una pluralità di macchine tutte contenenti comunque una “scheggia” di alcune delle forme che caratterizzano l’intelligenza umana. Per questo dovremmo più propriamente parlare di “intelligenze artificiali”. Al plurale. Le quali svolgono compiti differenti». Ciò che l’umanità ha oggi a disposizione, insomma, è una grande famiglia di strumenti, più o meno efficienti, potenti, energivori che le consentono di trovare vie per risolvere problemi, «sempre che tali strumenti sappiano proporsi come una “ermeneutica della realtà”, in cui la realtà sia vista appunto come un problema da risolvere». Ma una domanda esistenziale, ad esempio, non potrà mai rientrare in questa casistica, «resterà sempre un’esperienza da vivere…», rassicura il religioso francescano. Che prosegue: «Fin da bambini sappiamo bene che quelli che ci raccontano delle “storie” sono delle “grandi interfacce”, le quali ci danno sì una prospettiva, ma non certo un’esperienza di conoscenza fatta e finita. E anche l’uomo dell’età della clava sapeva che avrebbe potuto usare quest’ultima sia come utensile che come arma, che fin da allora la strada da prendere dipendeva dunque dal suo cuore». Così è oggi: usare le nuove tecnologie per l’uomo o contro l’uomo dipende solo dal suo cuore.
«La questione educativa diventa allora la priorità del nostro tempo. Occorre che ciascuno nel proprio ambito educhi i cuori a usare ciò che si ha a disposizione sempre e solo per finalità di bene». Un po’ come quando nel XVI secolo usavamo il microscopio per guardare le infinità del nostro corpo «e ci siamo capiti come “fatti di cellule”, e il telescopio, con cui abbiamo guardato il cielo, e ci siamo capiti come parte di un tutto». Ecco che, in questa visione, «la sfida non è più la macchina in sé, ma ciò che essa ci invita a capire oggi di noi medesimi e di ciò che ci circonda». La “questione” resta ancora l’uomo, insomma. Non la macchina. Preesistendo addirittura all’autocoscienza, «l’intelligenza è inoltre qualcosa che non si media con il linguaggio, perché è una autentica abilità, forgiata dall’adattamento alle situazioni che di volta in volta si palesano», ha svelato Nello Cristianini, professore di Intelligenza artificiale all’Università di Bath (Regno Unito). «È solo che abbiamo scoperto non essere più un’esclusiva del mondo animale.
Abbiamo creato delle macchine in grado di decidere in autonomia, imparare, ragionare, pianificare. Quindici anni or sono il cellulare che ci portiamo in tasca, ora YouTube (che su un miliardo di video ci propone cosa guardare); Tiktok (che nel giro di pochi minuti dall’apertura dell’account cerca di capire cosa mi interessa e poi si specializza in modo da farci passare il tempo guardandolo) eccetera». Sistemi basati su previsioni e statistiche. «Abbiamo semplicemente scelto una scorciatoia. Risolvendo delle criticità ed esponendoci chiaramente ad altre». Cosa ci salverà? L’«amicizia in 3D», ironizza Benanti, sintetizzando il tema del festival, ossia la passione per l’umano. «Che possiamo ancora concretizzare in tre direzioni: innanzitutto l’amicizia con noi stessi; poi l’amicizia con le persone, da accogliere nella loro autentica fragilità; quindi l’amicizia tra generazioni, quella che guarda al futuro ma anche al passato, le cui estremità sono rappresentate da giovani e anziani. Perché se pensiamo solo alle persone “di mezzo”, ai mediani, categoria (di utenti) eletta dalla stessa intelligenza artificiale, creiamo solo un mondo di esclusi».
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