Lessinia: diritti dei lupi e diritti degli allevatori
Forse ci vorrebbe un nuovo San Francesco per trovare la quadra al problema dei lupi in Lessinia. Un santo capace di mutare l’indole aggressiva e carnivora dei canidi, famiglia cui appartiene il temuto predatore. Magari per trasformarli in mansueti erbivori, pronti a brucare le fresche erbe dell’alpeggio.
Forse ci vorrebbe un nuovo San Francesco per trovare la quadra al problema dei lupi in Lessinia. Un santo capace di mutare l’indole aggressiva e carnivora dei canidi, famiglia cui appartiene il temuto predatore. Magari per trasformarli in mansueti erbivori, pronti a brucare le fresche erbe dell’alpeggio. Per ora a brucare queste ultime saranno le mandrie che tra poco raggiungeranno le alture veronesi, in numero di circa novemila capi, distribuiti su 200 km. quadrati. E in attesa del miracolo, che stiamo sicuri non arriverà, a cibarsi con i bovini continueranno ad essere, sia pure in competizione, gli uomini e i lupi.
Il problema è serio. La strage di capi di bestiame delle ultime annate è un dato sotto gli occhi di tutti, con due pericolose conseguenze: il danno economico e, danno non minore, l’impressione, nella popolazione indigena e nei turisti del fuori porta, di non godere più sicurezza neppure per le persone. Del resto non è un mistero che i lupi si sono spinti fino in prossimità delle case abitate, con le conclusioni che ognuno può tirare.
Ero bambino quando portavo al pascolo le poche vacche della mia povera famiglia, in località che sono state scenario di attacchi da parte di questi animali. Quale famiglia oggi potrebbe con altrettanto rassicurante certezza mandare un bambino da solo dentro quei boschi? Uno scenario inquietante che sta determinando un complessivo ribaltamento dello scenario ambientale, compreso l’esodo di cervi e caprioli verso quote collinari sempre più basse.
A fronte di questa situazione che sembra senza via d’uscita, Legambiente ha lanciato una lodevole iniziativa, tanto generosa quanto velleitaria, ossia quella di mettere in piedi una squadra di volontari disposti a vigilare sulle mandrie, durante i 120 giorni dell’alpeggio. L’iniziativa, qualora dovesse prendere piede, vedrebbe impegnate per le notti di questi quattro mesi, squadre di vigilanti, con l’ovvio intento di preservare i bovini, ma anche di tutelare il lupo, da eventuali bracconieri pronti a far fuori il pericolo a colpi di pallettoni.
Detto fuori dai denti, ho l’impressione che la pregevolezza delle intenzioni non trovi adeguato riscontro nella sua praticabilità. Prima di tutto per il numero di persone richieste. Quanti dovrebbero essere i volontari necessari per vigilare su novemila animali sparsi su 200 km. quadrati? E quale continuità potrebbe avere nel tempo una simile iniziativa? Senza contare che il lupo, condizionato nei suoi confini di caccia potrebbe davvero ripiegare tra le mura domestiche, magari a caccia di cani, come già accaduto lo scorso anno. E allora quali misure di tutela sarebbero garantite per le popolazioni del luogo? Non so onestamente quali potrebbero essere le vie d’uscita per risolvere il problema. Credo che l’errore sia stato quello di immettere intenzionalmente, in un territorio così ristretto e fortemente antropizzato, un animale che esigerebbe grandi spazi di movimento lontano dalla presenza umana.
A questo punto la domanda sul da farsi si fa centrale. Ritengo che l’indennizzo agli agricoltori, a fronte dei danni subiti e accertati, sia un’urgenza non più rinviabile, da parte della Regione. Chi vive di agricoltura non può vedere compromesso il proprio lavoro e il proprio reddito, in nome di un buonismo sentimentale a servizio dell’animalismo da salotto. È certamente un segno dei tempi il recupero di un’attenzione al creato e alle sue creature, ma da qui a livellare le priorità come se i diritti del lupo fossero paritari o superiori a quelli dell’uomo e della sua famiglia, corre il fiume del buon senso e della giustizia. Che è fatto culturale prima ancora che di vigilanti.