La bomba americana e le colpe dei talebani
Giovanni Lo Porto è morto sotto le macerie di un sogno che aveva coltivato con passione e tenacia. Quello di portare nel lontano Oriente, tra il Pakistan e l’Afghanistan, quei valori di fraternità, di pace e democrazia per i quali si batteva, contro ogni speranza. Solo che aveva fatto male i conti con i problemi di sicurezza che si vivono da quelle parti...
Giovanni Lo Porto è morto sotto le macerie di un sogno che aveva coltivato con passione e tenacia. Quello di portare nel lontano Oriente, tra il Pakistan e l’Afghanistan, quei valori di fraternità, di pace e democrazia per i quali si batteva, contro ogni speranza. Solo che aveva fatto male i conti con i problemi di sicurezza che si vivono da quelle parti.
Nel 2012 c’era stato il sequestro da parte dei fondamentalisti islamici, rapito insieme ad un operatore umanitario americano. In questi tre lunghi anni, tenuto come ostaggio da usare per ricatto o come fonte di finanziamento da parte dei terroristi, di lui non si era saputo più nulla. Neppure i governi italiani che si sono succeduti in questo periodo hanno dimostrato eccessiva attenzione al caso, anche se a parole davano qualche rassicurazione alla famiglia. Difficile dire se per ignavia o impotenza. Forse per entrambe le cose, sta di fatto che non avevano mostrato eccessiva solerzia per il destino di quel giovane sognatore, partito dalla Sicilia verso terre senza legge.
Poi nei giorni scorsi, la notizia che ha messo fine alla speranza. Giovanni è morto, caduto sotto una bomba sganciata da un piccolo e silenzioso drone americano. Le forze speciali degli Usa avevano individuato un covo di talebani di Al Qaeda. Avuta certezza che dentro c’erano quattro pericolosi terroristi, tra i quali anche un americano convertito all’islam, il piccolo drone si era librato silenzioso sopra quel covo, lasciando cadere la sua polpetta mortale.
Solo al momento della conta dei cadaveri ci si è resi conto che i corpi non erano quattro ma sei. Perché quello non era solo il rifugio dei terroristi ma anche il covo dove si custodivano i due prigionieri.
Su questi dati finisce la cronaca, ma da questi stessi dati comincia la farsa. In chiave strumentalmente elettoralistica, ovviamente. Un tiro al piccione che ha visto come primo bersaglio Barack Obama. Perché ha ucciso un italiano, perché ci ha avvisato in ritardo, perché rideva con Renzi durante la visita di quest’ultimo alla Casa Bianca, perché, perché...? Non eravamo ai tempi di “Nixon boia”, ma l’anti-americanismo usciva fluente da quella cultura, che fa la voce grossa con le democrazie, che manifesta dove la polizia è disarmata, ma cala le braghe coi dittatori e sta alla larga dalle zone calde.
È pur vero che Giovanni Lo Porto è morto sotto una bomba americana, ma la verità più vera è che Giovanni è caduto perché finito nelle spire mortali di un fondamentalismo islamico senza pietà e senza più codici di umanità. Quel fondamentalismo che ci inorridisce, che ci minaccia e ricatta quotidianamente, senza che i governi locali e tantomeno l’Europa diano segnali di volerlo gestire quale l’emergenza richiederebbe. Perfino la missione di pace dei nostri alpini in Afghanistan trova qualche idiota pronto a osteggiarla, in nome di un pacifismo che ha l’olivo in bocca e la crusca nel cervello. A completare la sceneggiata di questi giorni, il Parlamento italiano venerdì scorso. Il ministro Gentiloni doveva riferire del caso. Una doverosa informazione ed anche una opportunità per rendere onore ad un italiano caduto per portare ideali di pace in terre di guerra. Ma alla Camera erano presenti in 40 su 630. Tutti in tutt’altro posto. Termometro di una politica che si commenta da sé.