Una morte che potrebbe scatenare la Terza Guerra mondiale
Con l'assassinio Usa del generale iraniano Soleimani si aprono scenari inquietanti
È difficile capire la portata dell’assassinio da parte americana del generale iraniano Qasem Soleimani, se non si conosce il ruolo che questo militare aveva nell’intero Medio Oriente. Capo della Niru-ye Quds, insomma delle Guardie rivoluzionarie iraniane che hanno il compito di diffondere (con le armi) l’ideologia khomeinista ovunque, era il deus ex machina dell’Iran in Iraq, in Siria, in Libia, nella Striscia di Gaza, in Yemen, in Libia. Insomma ovunque il regime degli ayatollah sta allargandosi in questo decennio.
A lui rispondevano le milizie filo-sciite irachene e il governo stesso di Baghdad; lui aveva salvato il regime di Assad dal tracollo, puntellandolo prima che arrivassero i russi a completare l’opera; lui comandava le milizie di Hezbollah in Libano e le operazioni di avvicinamento ai confini israeliani (l’annientamento dello Stato di Israele è il sogno degli ayatollah iraniani). Lui riforniva di armi e altro i palestinesi di Hamas che comandano nella Striscia di Gaza.
Sempre Soleimani teleguidava le milizie Houti che stanno guerreggiando da anni in Yemen contro altre milizie sunnite sostenute dai sauditi. C’è la sua mente dietro il lancio di missili (mai rivendicato) contro petroliere che stavano attraversando il Golfo Persico poche settimane fa; e dietro “l’attentato” che qualche mese fa ha messo fuori uso importanti impianti petroliferi in Arabia Saudita grazie al lancio di missili dal territorio iracheno.
Insomma, il Cesare Borgia del regime iraniano. Uomo che cercava di stare nell’ombra, anche perché era l’obiettivo numero uno dello Shin Bet, i potentissimi servizi segreti israeliani che di solito sono micidiali. Scappato a diversi attentati, non ce l’ha fatta a sopravvivere a un missile lanciato da un drone americano che l’aveva individuato all’aeroporto di Baghdad.
D’altronde il conto era aperto. Qualche settimana fa non precisate milizie (teleguidate da Soleimani) avevano lanciato missili contro una base militare Usa in territorio iracheno, facendo una vittima ma soprattutto intimando agli americani di andarsene via dall’Iraq, oramai un protettorato iraniano di fatto. La risposta americana era stata immediata, ma la contro-risposta è stata quella che ha fatto traboccare il vaso.
A Baghdad esiste una zona verde chiusa e protetta militarmente in modo ermetico, dentro la quale ci sta un’ulteriore area dove sono dislocate le varie ambasciate (quella americana è la più grande tra quelle Usa nel mondo). Una “folla spontanea” si era accalcata agli ingressi della super sigillata zona verde, riuscendo a entrare in un minuto e ad avvicinarsi a ridosso delle ambasciate. Per qualche ora si è temuto il ripetersi dell’assalto all’ambasciata americana a Teheran del 1979, e al macello di quella di Tripoli in Libia nel 2012. Centinaia di marines sono stati paracadutati in poche ore e si è temuto il peggio.
La “folla” (i satelliti avevano individuato moltissime facce conosciute, compresi molti guerriglieri fatti arrivare dal Libano) si era poi dispersa, ma il gesto è costato la vita a chi l’aveva ideato. Solo che uccidere Soleimani è come se gli iraniani avessero accoppato Mike Pompeo, Segretario di stato americano e numero due di Trump. Tanto per rendere l’idea.
L’ordine è stato dato da Trump, ma non c’è dubbio che la richiesta era partita proprio da Pompeo e dal Pentagono. Trump con gli ayatollah avrebbe voluto iniziare trattative di pace solo qualche mese fa, mettendosi contro l’intera sua amministrazione che considera invece Teheran il nemico numero due (dopo i cinesi e prima di Putin). Trump vorrebbe andare via da Siria, Iraq, Afghanistan… ovunque ci siano truppe americane, disintegrando quella rete di basi che finora hanno acconsentito a Washington di imporre la pax americana al mondo. Ma Trump è anche un tipino un po’ particolare, a cui piace far vedere al mondo che lui è il più forte, il più spietato. Prima di tornare a giocare a golf.
E adesso? Magari qualcuno si ricrederà e guarderà a papa Francesco non come a un visionario, ma come al realista che cinque anni fa disse: «Oggi si può parlare di una Terza Guerra mondiale combattuta a pezzi, con crimini, massacri, distruzioni».
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