L’Italia che ci inorgoglisce dove nessuno è straniero
C’è un’Italia che non finirà mai sotto i riflettori, anche se sappiamo che è proprio questa Italia la linfa indispensabile che tiene in vita il Paese. Quella di tanta gente umile, che si rimbocca le maniche senza lamentarsi, recriminare, imbrogliare, passare davanti agli altri praticando uno sport molto diffuso, che è quello di fare fesso chi ti passa accanto...
C’è un’Italia che non finirà mai sotto i riflettori, anche se sappiamo che è proprio questa Italia la linfa indispensabile che tiene in vita il Paese. Quella di tanta gente umile, che si rimbocca le maniche senza lamentarsi, recriminare, imbrogliare, passare davanti agli altri praticando uno sport molto diffuso, che è quello di fare fesso chi ti passa accanto. Per una volta noi ci proviamo a raccontarla questa Italia, che è un modo per dire grazie ai protagonisti, ma soprattutto per riprendere fiato, quando la tristezza della cronaca ci porterebbe a dire che non ci salveremo più dal degrado incombente.
La storia ci porta a Bernalda, provincia di Matera. Da tempo ci vive e lavora un ragazzo tunisino di 19 anni. Fa il bracciante agricolo, ma da qualche tempo è rimasto senza lavoro. Qualche giorno fa si presenta al locale comando dei carabinieri. Entra disperato, singhiozzando. Le sue lacrime sono sincere e motivate. La sorella lo ha appena informato che la mamma è morta improvvisamente per infarto. Lui vorrebbe rientrare al paese per vederla prima della sepoltura, ma il portafogli non consente divagazioni. Dentro ci sono dieci euro, tutto quello che ha per vivere. I carabinieri fanno le doverose verifiche. Vero che è un bravo ragazzo. Vero che è rimasto senza lavoro. Vero che la mamma è morta. Ed è davanti a tanta evidenza che prende il volo la quarta verità: quella del cuore dei carabinieri. I quali non ci pensano due volte a fare una colletta che lo aiuterà a raggiungere il luogo di destinazione. La storia, che forse dovremmo raccontare alle nuove generazioni, per distrarle un po’ dalla violenza che subiscono quotidianamente dai media, sfata alcuni luoghi comuni e ci riconsegna qualche certezza.
Tra i primi, l’idea perversa che lo straniero sia solo fonte di rogne. Nei singhiozzi di questo ragazzo passa in realtà, come un fiume carsico, la ricchezza di umanità di ogni creatura. Fatta di speranza. Fatta di nostalgia. Per la propria terra, la propria casa. Per la carezza di una madre e un tavolo per stare con i propri cari, dove ridere insieme e raccontarsi la vita. Fatta di sentimenti, inumiditi di lacrime, quando il fallimento bussa alla porta e la solitudine ti chiude dentro ai tuoi insuccessi. Anche questo è lo straniero. Che non sarà mai il mio prossimo, se io non deciderò di diventare il suo, scrutando dietro le tende dei suoi occhi e del suo cuore.
Ma c’è un secondo luogo comune che si infrange, quello del cattivismo del “prima gli italiani”, un virus che sembra aver infettato anche tanti cristiani nostrani. Si faccia avanti, mi scriva, mi contesti chi volesse arruolarsi in questa filosofia. Ci sono voluti i carabinieri a infrangere questo luogo comune. Tempo fa un comandante di stazione mi raccontò di un’anziana signora fermata perché trovata con una bottiglia di grappa non pagata. In lacrime raccontò del marito invalido e della magra pensione di cui disponevano, che non consentiva loro neppure una debolezza come la correzione del caffè. Fu il maresciallo a pagare di tasca propria. Il fatto mi colpì e lo raccontai al colonnello comandante. Senza preavviso andò a conoscere il carabiniere. Poi mi telefonò: «Non dobbiamo incentivare le debolezze della gente, ma oggi ho conosciuto il migliore carabiniere che ho alle mie dipendenze». Anche questa è l’Arma. Soprattutto questa.
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