Il rispetto per le donne non è un problema sociale ma il bene dell’umanità
Mi telefona Anna. È una donna matura e saggia. Mi telefona per ringraziarmi di un articolo scritto a difesa delle donne. È diventato insopportabile dover scorrere ogni giorno il pallottoliere dei femminicidi, mi dice...
Mi telefona Anna. È una donna matura e saggia. Mi telefona per ringraziarmi di un articolo scritto a difesa delle donne. È diventato insopportabile dover scorrere ogni giorno il pallottoliere dei femminicidi, mi dice. Che sono cosa diversa dagli omicidi, dove si uccide per interesse, rancore, vendetta e tanto altro. Nel femminicidio è la relazione affettiva che lega l’assassino alla vittima. Lei, la donna, vissuta come oggetto, proprietà. Cosa, essere inferiore. Bene a disposizione di una cultura che ritiene il maschio (non chiamiamolo uomo per favore) titolare di una superiorità fisica e culturale che lo rendono padrone senza doveri e responsabilità.
Mi dice Anna, quasi sottovoce per non disturbare: anche un articolo è meglio di niente. Anche i proclami che si fanno in Tv servono a prendere coscienza del fenomeno, ma poi in piazza ci lasciate andare da sole. Quando vi vedremo sfilare per le strade, voi senza di noi? Profetici e solidali a dire ai violenti che non appartengono alla razza degli uomini, ma a qualche sottospecie animale ancora in corsa sulla linea evolutiva di Darwin? Quando andrete in strada, voi senza di noi a fare della violenza sulle donne un tabù di cui vergognarsi, oltre che motivo per andare in galera?
Mi sento spiazzato. Spiazzato culturalmente prima di tutto. Perché è vero che fare proclami a favore delle donne non costa molto. Come parlare di pace. Sostenerla a parole costa nulla e garantisce sempre un ritorno di bella figura. Ma poi ti accorgi che spendersi per la donna è ben poca cosa se si riduce a qualche legge, a qualche provvedimento di polizia, se non diventa anche una presa di coscienza del suo valore.
Valore che deve trasferirsi in un sentire nuovo, che chiameremo cultura, ma che di fatto deve diventare una presa di coscienza del suo ruolo e della sua vocazione. Perché il valore della donna non è in funzione della società, come struttura organizzata e operativa, ma dell’umanità. Se non si trova l’equilibrio tra la relazione maschile e femminile, a soffrire non saranno soltanto le donne abusate, violentate o uccise. Sarà il mondo a patire, a cominciare dagli uomini, dai bambini, dalle famiglie… Tutti pagheremo il prezzo di una solitudine umana, dove l’armonia della comunione lascia il posto all’aggressività e alla contrapposizione. In definitiva, alla sofferenza.
È un sorriso amaro quello che suscitano le prese di posizione di certa politica, che dice di voler tutelare la donna nella sola logica della quantità. Parità delle quote rosa nelle liste elettorali, nelle segreterie dei partiti, nella partecipazione alla produzione economica. Salvo poi ignorarne il carisma nelle posizioni di vertice, operando sperequazioni salariali a parità di lavoro, oppure negandole la possibilità di realizzare quella vocazione universale a generare la vita, che rimane irrinunciabile condizione di dare futuro al mondo. Le mancate assunzioni per timore di future maternità, come i licenziamenti per maternità non programmate risultano ferite morali e sociali che perpetuano la cultura della donna come essere inferiore subordinato al maschio e al profitto. Oltretutto con il rischio, neppure tanto remoto, che la donna stessa, per paura di perdere diritti e sicurezze, finisca per assumere comportamenti maschili, svuotati di qualsiasi originale spiritualità. Una mascolinizzazione destinata a renderla aggressiva, suscitando sentimenti di rivalità, che l’uomo avverte come minaccia, con l’esito evidente che finirà per dichiararla regina a parole, salvo gestirla di fatto come essere inferiore. Scenario inquietante, a ricordarci che oggi tante piazze, se davvero si vuol cambiare, aspettano uomini pronti a scendere in pista per dire nei fatti che amano le donne.
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