Il richiamo del Papa per un giornalismo fatto di verità e di valori veri
Qualche giorno fa, papa Francesco è stato insignito del premio “È giornalismo”, una prestigiosa onorificenza come riconoscimento di un impegno costante nel promuovere una comunicazione autentica...
Qualche giorno fa, papa Francesco è stato insignito del premio “È giornalismo”, una prestigiosa onorificenza come riconoscimento di un impegno costante nel promuovere una comunicazione autentica, fondata su valori come la verità, pace e apertura verso gli altri. In quella occasione, il Papa ha messo in guardia dai pericoli della diffusione di notizie false, auspicando un giornalismo che si basi sulla realtà e che eviti gli slogan e le narrazioni preconfezionate.
Ha poi elencato i rischi che corre oggi l’informazione, ossia la disinformazione, la calunnia e la diffamazione. Ma poi, con la sua sfacciata schiettezza, ha parlato di un ultimo rischio, ossia quello di cadere nella coprofilia.
L’ha detto con parola colta, ma basta un vocabolario per chiarirsi le idee. Leggo dalla Treccani: “Coprofilia: in psichiatria, sentimento patologico di piacere provato nel toccare, guardare e mangiare le feci”.
Sarà che questo Papa generalmente piace ai giornalisti, anche per l’abbondanza di materiale che fornisce. Sarà che il modo migliore per scansare i colpi è quello di fingere di non aver sentito. Sarà che forse qualcuno non era proprio al corrente del significato della parola, sta di fatto che non ho sentito nessun comunicatore che abbia dato segni di reazione. Per condividere, oppure per prendere le distanze. Magari solo per dire che noi giornalisti si scrive e si parla, ma che proprio l’idea di toccare, guardare e nutrirsi di m… è l’ultima cosa che ci passa per la mente.
Eppure il Papa ci ha fatto uno straordinario assist per una salutare revisione del mestiere. Chi ha la mia anagrafe sa che per moltissimi anni, a partire dal dopoguerra, esisteva soltanto la Carta dei diritti dei giornalisti. Era un documento che voleva garantire la libertà e l’autonomia del mondo dell’informazione, dopo l’esperienza del fascismo e della censura che esso aveva operato. Poi, in un fiorire incessante, sono cominciate ad apparire le Carte dei doveri. Segno che anche il giornalismo doveva darsi un’etica, contro il pericolo delle sue deviazioni.
Il Papa ha parlato, tra l’altro, del pericolo delle fake news, ossia delle false informazioni. Ho passato qualche giorno in Croazia, ospite di amici. Ci sono andato un po’ controvoglia, allarmato da articoli che davano il costo della vita, dopo l’adozione dell’euro, a livelli proibitivi. Ricordo titoli sparati su otto colonne: “Ciliegie a sessanta euro il chilo”, “pizza a 40 euro”… Ebbene, la realtà è assolutamente un’altra. È vero che la Croazia non ha più i prezzi competitivi di quando circolavano le kune, ma è altrettanto vero che i prezzi sono equiparabili a quelli delle nostre città e dei nostri ristoranti, senza parlare dei supermercati, quasi sempre più vantaggiosi dei nostri. E allora uno si chiede, e non occorre essere dei geni per capirlo, cosa si nasconda dietro la volontà di raccontare il falso.
Ma c’è un secondo aspetto del giornalismo sul quale sarebbe opportuno fermarsi e interrogarsi. Con molta acutezza si è detto che oggi l’informazione, più che a riflettere, è portata a causare shock, cioè a colpire emotivamente il lettore o il telespettatore. Penso al senso di insicurezza che la cronaca nera ci fa avvertire ogni giorno, un senso di accerchiamento come se ci trovassimo dentro ad una apocalisse. Eppure i dati ufficiali del Viminale, dal 2012 in poi, sono assolutamente precisi nel dirci il calo costante della criminalità a tutti i livelli. La verità dei fatti, travolta dalla verità giornalistica della paura.
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