Il Fatto di Bruno Fasani
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I tristi fatti della storia e il loro insegnamento

Ci sono luoghi che faremmo bene a ricordare e riproporre in quanto evocativi di un passato da non dimenticare. La storia, si sa, non va più molto di moda. La scuola la insegna così e così e spesso ci si ferma per mancanza di… carburante, cioè di tempo, evitando alle nuove generazioni la conoscenza di quella più vicina a noi, ossia quella del XX secolo.

Parole chiave: Il Fatto di mons. Bruno Fasani (46)

Ci sono luoghi che faremmo bene a ricordare e riproporre in quanto evocativi di un passato da non dimenticare. La storia, si sa, non va più molto di moda. La scuola la insegna così e così e spesso ci si ferma per mancanza di… carburante, cioè di tempo, evitando alle nuove generazioni la conoscenza di quella più vicina a noi, ossia quella del XX secolo. La cultura digitale, appiattita sul presente e senza bisogno di memoria, pensa a fare il resto.
Eppure il nostro passato prossimo è lì, alla finestra, a fare l’occhiolino e a ricordarci che esso serve prima di tutto a evitarci di ripetere gli stessi errori. Non ho ricordo di aver sentito che sia mai stato assegnato un tema di maturità riguardante la Repubblica di Weimar. Anni, dal 1919 al 1933, segnati da una grave crisi economica, con il governo tedesco sempre pronto a svuotare le tasche dei cittadini per fare cassa. E poi, conflitti sociali di ogni tipo, che portarono la gente a irrigidirsi nei nazionalismi, vedendo ogni intruso come un usurpatore e, soprattutto, a sentire il bisogno dell’uomo forte, che verrà di lì a poco con il baffo perverso del grande Satana.
Una storia che ha molte analogie col presente, tra una politica di risanamento delle tasche dello Stato e delle banche, e quelle dei cittadini raschiate fino alla fodera, e una paura crescente dell’immigrato come ladro di pane, mentre la Brexit sventola come bandiera che invita a rinchiudersi dentro nazionalismi ingordi e solitari.
Anche la Grande Guerra, nel cui Centenario siamo immersi, presenta comunque le tappe di una Via Crucis sulle quali varrebbe la pena fermarsi e meditare. Chi nella bellezza di una giornata estiva volesse inerpicarsi sull’Ortigara, nell’altopiano di Asiago, approderebbe ad una vetta, piatta e malinconica, in mezzo alla quale svetta una colonna tronca. È la Colonna Mozza, voluta dagli alpini per ricordare il luogo del martirio di decine di migliaia di loro caduti. Fu su quel monte, nel 1919, che si tenne la prima loro adunata. Vi tornarono silenziosi per dire all’Italia che i valori per cui si era fatta carne da macello di quei ragazzi, erano valori di cui la politica e la società dovevano farsi carico. Se gli amici erano morti per fare dell’Italia un paese migliore, era necessario un sussulto di coscienza da parte della politica e di tutta la popolazione. Loro, gli alpini, ci avrebbero pensato fondando l’Ana, che dal 1919 attraversa il Paese come coscienza civica con lo stile del fare.
Cosa sia stata l’Ortigara risuona nelle parole epiche di padre Bevilacqua, poi cardinale: «L’Ortigara non è una sconfitta, perché vi è sconfitta solo quando qualcosa di umano è stato sconfitto, impoverito, soppresso…». Ma anche in quelle più prosaiche e realistiche di Paolo Caccia Dominioni: «La trincea, abominevole carnaio di putredine e feci, che la terra si rifiuta di assorbire, tanfo di cadavere da ingoiare col caffè e col pane».

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